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Asian Film Festival: il cinema tailandese protagonista

The Edge of Daybreak” e “The Anatomy of Time”: due film della recente produzione tailandese presentati al 19° Asian Film Festival al cinema Farnese.

Asian Film Festival: “Anatomy of Time” e “The Edge of Daybreak”, il meraviglioso cinema tailandese

Anatomy of Time

Anatomy of Time

Inizia con la fine il film tailandese “Anatomy of Time” di Jakrawal Nilthamrong presentato nella sezione “Orizzonti” dell’ultimo Festival di Venezia. La vecchia Maem si vede morire davanti il marito, un tempo ufficiale dell’esercito macchiatosi d’infamia che lei ha scelto nonostante il suo cattivo karma. La donna lo cura amorevolmente e le sue giornate passano lentamente. Eppure, il passato riaffiora nei suoi ricordi da giovane con il padre orologiaio nella bottega di famiglia. Non c’è una sequenza temporale ben definita in “The Anatomy of Time” che è un film difficile da comprendere per un occidentale.

É, infatti, permeato della cultura buddista, perfettamente rappresentata dal racconto della caverna sul Nirvana e sulle differenze tra le religioni. La narrazione è dilatata, i dialoghi scarni e i personaggi si muovono lentamente con la stessa velocità del vento che agita le foglie di un albero di fronte a una casa di campagna in stile tradizionale dove lei rivive i suoi ricordi.

In realtà, dietro tutto questo si nasconde il tema politico e più precisamente la storia degli anni ’60 con le lotte nel paese tra militari e comunisti. Questo sottofilone si contamina con il tema della natura del tempo, della sofferenza e quindi della vita stessa a 360°.

Il presente doloroso della vecchia Maem appare reale come un film che lei stessa guarda con gli occhi dello spettatore. Al contrario, il passato e i suoi fantasmi sono avvolti dalla nebbia.

Ci sono molti tratti in comune, stile a parte, con “The Edge of Daybreak” primo lavoro del regista tailandese Taiki Sakpisit passato con successo a diversi festival internazionali tra cui il TFF. Girato in un ipnotico bianco e nero in contrasto monocromatico, la pellicola segue la storia di due donne madre e figlia. Ploi saluta nel 2006 il marito con sua figlia dopo il colpo di stato contro il premier e tycoon Thaksin Shinawatra. Nel 1973, la madre Pailin aveva subito lo stesso destino. Il suo compagno, un militare, era sparito per tre anni lasciandola sola con la bimba andata in coma, da cui era uscita miracolosamente.

Il trauma subito aveva fatto impazzire Pailin, sola nella grande casa di famiglia con la servitù e il padre. Questa la sinossi, che conta poco o nulla visto lo stile scelto dal regista per la narrazione. Anche qui, come in “The Anatomy of Time”, il senso di tempo è assolutamente sfumato. Passato e presente si confondono continuamente e la regia riesce a far perdere lo spettatore in questi meandri del tempo e dello spazio. L’atmosfera è onirica, e i fantasmi di un tempo riappaiono tra i vivi in una casa che si dice maledetta. Anche qui, i dialoghi sono praticamente inesistenti ma poco conta.

Tutto il plot è nel monologo iniziale che si comprende solo alla fine del film. Le atrocità dei militari diventano pura poesia nel bianco e nero che nasconde il colore del sangue.

Due film molto diversi tra loro per stile ma entrambi autoriali e affascinanti

Tra le righe di questi due film, nascosti tra vicende private c’è la storia di un paese, che ha avuto negli ultimi 82 anni ben 11 colpi di stato soft. E del resto, anche adesso la situazione politica tutto è fuorché stabile. Sono recentissimi i disordini nelle piazze ad opera degli studenti che avversano la monarchia rappresentata non più dal veneratissimo re Rama IX, ma al figlio Rama X un ex play boy che si circonda di concubine e non brilla per la sua correttezza. Eppure, per il reato di lesa maestà, ancora in vigore, non si può criticare in alcun modo. A tutto ciò, va aggiunto il fatto che il paese è stato messo alle corde a causa della crisi economica caudata dal Covid, che ha bloccato per un paio di anni il flusso turistico.

Questi due titoli molto complessi confermano lo stato di salute del cinema contemporanea thailandese che non è solo quello di genere sostenuto dalle major. Quello di Sakpisit è senz’altro superiore e colpisce per la sua qualità e originalità stilistica. Si tratta di un cinema autoriale del paese del sorriso, che ha già lasciato il segno negli ultimi anni e anche se può apparire allo spettatore estraniante e un genere a se che merita senz’altro di essere conosciuto e a questo servono festival di classe come l’Asian Film Festival arrivato alla sua 19° edizione e promosso dal Cineforum Robert Bresson.

Ivana Faranda

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