Il film “MalAmore”, opera prima di Francesca Schirru, si propone di indagare le dinamiche relazionali in un contesto segnato dalla criminalità organizzata. Attraverso una narrazione che si distacca dalle tradizionali mafia story, il lungometraggio cerca di affrontare il tema della tossicità nei rapporti interpersonali, ponendo interrogativi sulla possibilità di amare liberamente in un ambiente oppressivo.
La trama di MalAmore
La storia ruota attorno a Mary, interpretata da Giulia Schiavo, e Nunzio, un boss di un clan mafioso, interpretato da Simone Susinna, attualmente in carcere. La moglie di Nunzio, Carmela , si occupa temporaneamente degli affari del marito mentre lui è dietro le sbarre. La situazione si complica ulteriormente con la gravidanza di Carmela, che desidera ardentemente un figlio e si rivolge a un’amica ginecologa per ricevere aiuto. Tuttavia, la natura sembra non essere dalla sua parte.
La vita di Mary subisce una svolta quando incontra Giulio , un insegnante di equitazione che lavora nel maneggio dove Mary trascorre il suo tempo libero. Giulio rappresenta una figura positiva, priva di legami con il crimine, e la sua presenza mette in discussione le certezze di Mary. La giovane donna si trova quindi di fronte a una scelta cruciale: continuare a vivere nell’ombra del potere mafioso di Nunzio o abbracciare una nuova vita con Giulio. Il film si interroga su quanto sia possibile amare liberamente in un contesto così oppressivo e violento.
Tematiche di tossicità e relazioni
MalAmore si distingue per il suo approccio umano, focalizzandosi sulle relazioni tossiche che si sviluppano in un ambiente malsano. La pellicola non si limita a denunciare la criminalità organizzata, ma esplora la complessità delle interazioni umane, evidenziando come la tossicità possa manifestarsi in vari contesti. La narrazione invita a riflettere su come le dinamiche di potere influenzino le relazioni, mettendo in luce il ruolo delle donne all’interno di questo sistema.
Mary e Carmela, pur seguendo percorsi apparentemente diversi, si ritrovano entrambe a essere influenzate dalle decisioni degli uomini della loro vita. Questa rappresentazione delle donne come pedine in un gioco dominato dalla mascolinità tossica offre spunti di riflessione, sebbene il tema sia già stato affrontato in altre opere con maggiore incisività. La pellicola, pur avendo buone intenzioni, non riesce a sviluppare pienamente queste tematiche, lasciando il pubblico con una sensazione di incompiutezza.
Performance e regia
Le performance del cast non riescono a convincere pienamente, rendendo difficile per il pubblico identificarsi con i personaggi. La mancanza di una connessione emotiva tra gli attori e gli spettatori limita l’impatto della narrazione. Nonostante la presenza di attori di talento, la recitazione risulta piatta e poco coinvolgente, contribuendo a una visione complessivamente deludente.
La regia di Francesca Schirru, pur cercando di utilizzare una fotografia e una colonna sonora in linea con il genere, non riesce a creare il giusto ritmo e la tensione narrativa. La pellicola sembra ripetere schemi già visti in altre produzioni, come “Gomorra”, senza riuscire a portare un’innovazione significativa. Le scelte stilistiche, sebbene ben intenzionate, non riescono a elevare il film, che si perde in una narrazione che non riesce a coinvolgere.
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