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Icaros: A Vision (2016)

Recensione

Icaros: A Vision – Recensione: Quando la videoarte incontra il cinema

Icaros: A Vision film

Il cinema, denominato spesso “settima arte”, ha un suo linguaggio e una sua grammatica ormai codificati. Ciò vale anche nel caso del cinema sperimentale, del cinema d’avanguardia, del cinema d’autore, in quanto deve essere possibile stabilire una certa “cinematicità” dell’opera audio-visiva, sia che essa si collochi nel rispetto dei canoni collaudati pertinenti al linguaggio filmico, sia che essa si esprima in aperta sovversione rispetto ad essi (un discorso analogo, ad esempio, può essere fatto per il romanzo sperimentale, di avanguardia, ecc.).

Icaros: A Vision (2016)

Diverso è il caso della videoarte contemporanea, che nasce per convenzione nel 1968 con l’opera di Nam June Paik. Al di là delle definizioni transitorie e dibattute di questa particolare forma d’arte (che mettono sul piatto, ad esempio, l’assenza della necessità di un’implicazione narrativa, la questione del ritmo, la presenza del museo come luogo di fruizione artistica, il sostegno fisico per la visione come parte integrante dell’opera ecc.), si può affermare, in generale, che la videoarte risponda perlopiù a particolari esigenze artistiche che collegano il medium audio-visivo ad una specifica esigenza espressiva. Ciò significa che è l’artista a scegliere deliberatamente, di volta in volta, se il mezzo visivo puro, quello performativo o quello dell’immagine in movimento – la video arte, per l’appunto, – sia il più adatto alla trasmissione di un particolare messaggio artistico.

Per colui che è sia uno spettatore cinematografico abituato alla fruizione filmica, sia un visitatore del museo contemporaneo con installazioni di video arte, la linea di demarcazione tra cinema e videoarte – talvolta estremamente sfumata nelle definizioni da manuale – appare in realtà decisamente più nitida sul piano esperienziale. Nel guardare “Icaros: A Vision”, questo ipotetico fruitore di settima arte che sia anche fruitore di arte contemporanea si trova di fronte ad un’esperienza mista: è chiaro infatti come “Icaros: A Vision” non sia né un film sperimentale, né tantomeno un film d’avanguardia, ma sia, piuttosto, un film narrativo canonico, che riceve però una massiccia intromissione da parte di tecniche e grammatiche visive collaudate dalla videoarte. Questa “esperienza mista” è sicuramente straniante ma anche fruttuosa, poiché ricompone due fruizioni audio-visive distinte tra il luogo-cinema e il luogo-museo d’arte contemporanea in un’unica fruizione mediale.

Già i titoli di testa ci avvertono di questa dicotomia: non “a film by”, ma “a vision by” Leonor Caraballo and Matteo Norzi. Andando a guardare il background dei registi, l’impressione che si sia di fronte ad un’opera d’arte per il cinema è confermata dalla loro biografia. Leonor Caraballo (deceduta durante la fase di post-produzione del film a causa di un tumore al seno) e Matteo Norzi sono infatti due artisti contemporanei, che hanno scelto di cimentarsi con la regia cinematografica. Dopo aver attivamente preso parte all’esperienza presso una comunità sciamanica Shipibo-Conibo, i due hanno deciso che la forma migliore per veicolare il loro messaggio fosse quella filmica, ben distinta da quella video-artistica.

Ed “Icaros: A Vision” è un film potente proprio per questa sua felice commistione; si distacca, ad esempio, da tanta psichedelìa cinematografica preesistente, incastrando una rappresentazione ottica dello stato allucinatorio atipica rispetto alle codificazioni filmiche. In “Icaros: A Vision” la narrazione cinematografica fa uso di tempi onirici e di ritmi figurativi alternativi, mentre il suono diviene parte dell’opera e fonde narrazione e percezione. La stringa linguistica delle sequenze sul fiume – in cui una voce femminile enumera le proprietà vitali delle piante amazzoniche – si frammenta, si completa e si sedimenta nel corso del film, rappresentando la vera impalcatura di significato attorno alla quale ruota la narrazione (mentre in un film “canonico”, solitamente, è piuttosto la narrazione a fare da elemento portante: attorno ad essa ruotano sia i messaggi del film che le sfumature di significato, siano esse oniriche, concettuali, didattiche, etiche, morali, umorali).

Così in “Icaros: A Vision” anche la citazione più propriamente filmica, che rimanda al Fitzcarraldo di Herzog, si fa citazione artistica. Essa è riflessa in maniera moltiplicata e multidimensionale: il primo riflesso è quello della proiezione del film sul nuovo medium acquatico, il quale è mutevole e in movimento come e più dell’opera audio-visiva stessa. Sull’acqua e dall’acqua, quindi, emerge un nuovo Fitzcarraldo riflesso sia fisicamente che sul piano della visione psichedelica, che rende opachi i confini tra proiezione reale e proiezione mentale. C’è sì il piano canonico della rifrazione meta-cinematografica del film nel film, ma esso appare decisamente secondario rispetto a quel “messaggio liquido” primigenio. La moltiplicazione filmica, centrale e pregna di significati nell’idea della citazione cinematografica, lascia qui spazio ad una moltiplicazione sensoriale, che gioca con i concetti di riconoscimento e di agnosia percettiva.

Come si ha il meta-cinema si ha anche la meta-arte, anche in questo caso smantellata e ri-assemblata nell’esperienza sensoriale psichedelica e onirica. Si tratta proprio della videoarte, moltiplicata ed estraniata ancora una volta dalla visione di Arturo, personaggio centrale del film: le persone diventano schermi, video-installazioni ri-densificate in ulteriori significati stratificati. Ed ecco che il gioco moltiplicatorio e multidimensionale conferisce a quest’opera proprio quella valenza iniziatica e sciamanica che si vuole raccontare nel film.

Icaros: A Vision: l’occidentale e la collocazione del punto di vista

Icaros: A Vision scena film

“Icaros: A Vision” ci mostra alcuni “passeggeri” occidentali nelle terre peruviane, che sono lì per i motivi più disparati: dare una significazione alla propria vita al tramonto (Angelina, interpretata da Ana Cecilia Stieglitz), una risoluzione pragmatica ad un problema invalidante (Leonardo, interpretato da Filippo Timi), una cura da una dipendenza (Francois, interpretato da Iker Amaya), o ancora una ricerca spirituale (Tiffany, interpretata da Michaele Helvetica Saxer). È significativo che agli attori-passeggeri occidentali siano stati affidati dei nomi fittizi, mentre gli indigeni del luogo, sebbene recitino comunque una parte (per quanto realistica possa sembrare) in un’opera di finzione, hanno mantenuto il loro nome originale. È forse perché i passeggeri sono alla ricerca di un’esperienza trasformativa che i nativi hanno già introiettato, non essendo questi ultimi venuti a contatto con le storture della società occidentale, che sgancia inevitabilmente la natura dell’animale-uomo dalla natura dell’ambiente?

In “Icaros: A Vision” questo turismo curativo non viene criticato né nelle sue estremizzazioni occidentali esotizzanti-esterofile e illusorie, né negli ipotetici sfruttamenti economici-truffaldini da parte di nativi avveduti. L’occidentale che vi si addentra non è né il “freak” tout-court né il colono giudicante; l’indigeno non è né lo sfruttatore delle altrui debolezze né il detentore assoluto della cura per ogni male. Nel film, invero, vediamo la presenza di nativi che non disdegnano un contributo economico, che credono fermamente in quello che fanno, ma che consigliano di avvalersi della medicina tradizionale là dove il potere dell’ayahuasca e dello sciamano non possono intervenire.  Nel film c’è sì l’occidentale sbandato ma, significativamente, non è colui che cerca lo sballo con un allucinogeno, bensì proprio colui che vuole disintossicarsi dalle droghe.

Il focus del film, pertanto, va ben oltre il resoconto del breve passaggio di un occidentale in una comunità spirituale amazzonica. La parzialità di una tale operazione e, soprattutto, la parzialità del punto di vista di un occidentale “trapiantato”, sembrano essere assolutamente chiari ai due artisti-registi, che scelgono di non focalizzare la narrazione sul punto di vista degli avventori e sull’esperienza mistica e curativa in sé. Il nocciolo è, piuttosto, la conservazione della memoria del territorio e della sua saggezza naturale, che va perdendosi assieme ad un uomo-cyborg che si è svincolato dal contatto con il suo essere-natura, vale a dire con il suo essere parte integrante di un eco-sistema.

L’uomo può essere un vettore naturale per la trasmissione del sapere dell’ambiente – in quanto essere naturale in se stesso – o può scegliere il sentiero della distruzione di tale memoria, cancellando però così un pezzo della sua stessa storia, che è la storia del mondo che abita – e che lo abita – .

La questione della trasmissione della memoria è portata avanti diversamente dalla comunità indigena e dalla comunità occidentale: per gli shipibo la memoria del territorio è avviluppata al proprio vivere ed esistere, per gli occidentali la memoria della terra può essere trasmessa oggi con un mezzo come il cinema e il video. Caraballo e Norzi ne sono consapevoli: ci mostrano entrambi i sentieri suggerendoci, da occidentali, la loro propria urgenza di rappresentazione, di conservazione, di trasmissione. I due ricorrono sì al logos occidentale per la descrizione della flora e della fauna perdute, ma vi aggiungono un piano inconscio, istintivo, naturale e vitale che essi cercano di riattivare attraverso una percezione visiva che prova a farsi appercezione. Lo fanno senza didascalismi, cercando di fare immergere sensorialmente lo spettatore in dinamiche corporee ed extra-corporee.

Marta Maiorano

Trama

  • Regia: Leonor Caraballo, Matteo Norzi
  • Cast: Ana Cecilia Stieglitz, Filippo Timi, Arturo Izquierdo, Guillermo Arévalo, Lurdes Valles, Dominga Valles, Taylor Marie Milton, Disney Lopez, Lizeth Ariana Izquierdo López, Maria Arevalo
  • Genere: Drammatico, colore
  • Durata: 84 minuti
  • Produzione: USA, Perù, 2016
  • Distribuzione: Lab 80 Film
  • Data di uscita: 12 aprile 2018

Icaros: A Vision poster

“Icaros: A Vision” è un film che vede al centro della narrazione la giovane donna Angelina in cerca di un miracolo. La donna infatti è malata di un gravissimo tumore. Con tutte le sue forze e speranze, Angelina si trasferisce in Amazzonia per affidarsi alle cure magiche di uno sciamano e alle proprietà della ayahuasca, un infuso che provoca forti allucinazioni.

Lo spazio dove è ambientata la storia è ricco di suoni, colori, piante e animali. Lontana dalla frenetica vita e dalla monotonia, Angelina si invaghisce di Arturo, un apprendista sciamano affetto da una malattia degenerativa che lo porterà alla cecità.

Icaros: A Vision: tra realtà e finzione

In “Icaros: A Vision” c’è un elemento personale per la regista argentina Leonor Caraballo, il tumore al seno. Quello che vediamo rappresentato è un percorso interiore, un viaggio con il nostro “io” fuori dal solito tram tram. Ad aiutare Angelina sono le sostanze stupefacenti che vengono rappresentate con semplici effetti speciali.

Il titolo “Icaros” deriva dalla pratica di canti ipnotici e performativa degli sciamani e affronta le paure per superarle.

Trailer

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