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Four Kings – Recensione

  • Titolo originale: Vier Konige
  • Regia: Theresa von Eltz
  • Cast: Paula Beer, Jella Haase, Moritz Leu, Jannis Niewöhner
  • Genere: Drammatico
  • Durata 95 minuti
  • Produzione: Germania, 2015

“Four Kings”: uno sguardo attento alla difficoltà di diventare grandi che può sfociare nel mal di vivere

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Ogni anno il Natale arriva per tutti, anche per il personale e i pazienti di un ospedale psichiatrico, dove il giovane  Dr. Wolff cerca di accudire i suoi pazienti con dedizione, e rispetto per le loro difficoltà. Quasi tutti vanno a casa per le feste, non è così per il violento Timo, il timido Fedja, l’esuberante Lara e la dolce Alex. Le circostanze porteranno i ragazzi, loro malgrado, a dover condividere una parte di se stessi con gli altri, e questo lascerà un segno indelebile nelle loro vite.

Theresa von Eltz, dopo aver lavorato tanti anni per la televisione, realizza il suo primo lungometraggio, presentato in concorso alla Festa del Cinema di Roma nella sezione autonoma e parallela Alice nella Città, dedicando la sua attenzione alle difficoltà del crescere, del diventare adulti, soprattutto se il contesto nel quale la crescita avviene non è proprio ottimale.

La regista sceglie di mostrare uno spaccato della vita di questi quattro ragazzi e del loro psichiatra, senza addentrarsi nel loro passato, che appare quanto basta per farci capire la loro situazione attuale. Spesso alla regista occorre una frase o uno sguardo per definire un complesso stato d’animo.

Il disagio viene raccontato con delicatezza, non mancando di puntare l’indice sul mondo adulto, distratto o egoista, causa concreta del disagio dei protagonisti.

“Four Kings”: un film ben fatto ma riuscito a metà

I temi trattati sono dolorosi ma si opta per una narrazione non troppo drammatica, che favorisce la visione sebbene finisca per risultare un po’ troppo di maniera, stereotipata, dove il paziente è solo vittima, e i metodi amorevoli del Dott. Wolff vengono ostacolati dall’infermiera ‘cattiva’, troppo ligia alle regole.

Il racconto è fluido, ma la von Eltz non osa, negando alla pellicola la possibilità di raggiungere quello spessore che avrebbe potuto raggiungere.

Maria Grazia Bosu

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