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Samia Yusuf Omar: La storia di coraggio e determinazione raccontata nel nuovo film

La vita di Samia Yusuf Omar, la giovane atleta somala che ha corso alle Olimpiadi del 2008, viene esplorata nel film “Non dirmi che hai paura”, una pellicola che trae ispirazione dal libro di Giuseppe Catozzella. Questa storia toccante di una ragazza che ha dovuto affrontare immani difficoltà nel perseguire i suoi sogni sportivi è raccontata dalle registe Deka Mohamed Osman e Yasemin Şamdereli, che mettono in luce tanto la tragedia della sua vita quanto il coraggio che l’ha contraddistinta. La pellicola, presentata in anteprima ad Alice nella città, arriverà nelle sale il 5 dicembre, offrendo una visione commovente e significativa di questa giovane donna il cui sogno si è tragicamente infranto.

Un sogno interrotto: la vita di Samia Yusuf Omar

Samia Yusuf Omar è nata a Mogadiscio il 25 marzo 1991, in una famiglia umile, con la madre impegnata nella vendita di frutta per sostenere la famiglia. Fin da piccola, Samia sognava di partecipare alle Olimpiadi, un desiderio che è emerso in modo chiaro quando ha visto una fotografia dell’atleta britannico Mo Farah, di origini somale, su un giornale. Questo incontro visivo l’ha ispirata a dedicarsi al suo sogno, iniziando a correre in strada, spesso di notte e di nascosto, per sfuggire alle restrizioni imposte dal contesto bellico del suo paese.

Samia Yusuf Omar: La storia di coraggio e determinazione raccontata nel nuovo film

Circondata da enormi ostacoli, Samia ha imparato sin da giovane che perseguire il suo sogno non sarebbe stato facile. È riuscita a ottenere il sostegno di suo padre, Yusuf, che l’ha incoraggiata a fondersi con i professionisti, allenandosi nel centro olimpico della sua città. Tuttavia, la guerra in Somalia e le rigidità sociali legate al ruolo delle donne nel paese hanno complicato ulteriormente la sua ricerca. Nonostante il violento ambiente circostante e le tradizioni locali, ha continuato a spingere se stessa verso il traguardo, trasformando il sogno in un obiettivo reale.

Il cammino di Samia culminò nel 2008, quando partecipò ai Giochi Olimpici di Pechino, dove segnò un record personale nei 200 metri, completando la gara in 32″16. Anche se il suo tempo non le assicurò una medaglia, la sua presenza sui campi olimpici rappresentava un trionfo personale e un simbolo di speranza per molte ragazze in condizioni simili. Tuttavia, la sfida più difficile era ancora da affrontare: il rientro a casa dopo aver rappresentato il suo paese senza il velo, un gesto che le alienò molti connazionali.

La lotta e la scelta drammatica di Samia

Dopo il suo debutto olimpico, Samia si trovò di fronte a un bivio decisivo. Le sue scelte la misero in conflitto con le norme culturali e sociali della sua terra natale, dove il velo era considerato un simbolo di rispetto e decoro per le donne. Determinata a continuare la propria carriera atletica e a sognare la partecipazione ai Giochi Olimpici di Londra del 2012, Samia decise di intraprendere un viaggio disperato verso l’Europa.

Il suo viaggio iniziò in primavera, attraverso l’Etiopia e il Sudan, per giungere finalmente in Libia, dove affrontò il deserto e le insidie del viaggio, tutte esperienze straordinarie che avrebbero segnato il suo destino. In Libia, si imbarcò su uno dei tanti barconi che partivano verso l’Italia, carico di migliaia di migranti in cerca di una vita migliore. Purtroppo, la sua traiettoria si interruppe tragicamente il 2 aprile 2012: il barcone affondò nel Mar Mediterraneo e Samia perse la vita insieme ad altri migranti.

La sua storia è simile a tante altre, così come emerge nel documentario “Io Capitano” di Matteo Garrone, che ha mostrato il dramma dei migranti, ma con un finale diverso per il protagonista. La narrazione di entrambe le opere focalizza l’attenzione sui sogni di chi tenta di fuggire da situazioni disperate, mettendo in discussione il valore attribuito a tali aspirazioni in base alla provenienza geografica.

Dare dignità ai sogni umani

Un elemento elegante che unisce “Non dirmi che hai paura” e “Io Capitano” è la volontà di restituire dignità ai sogni delle loro protagoniste. Le registe e la protagonista del film mettono in discussione l’indifferenza del mondo occidentale verso le tragedie umane, sottolineando come le statistiche sui migranti deceduti in mare tendano a ridurre le vittime a freddi numeri. L’approccio emotivo trova il suo culmine quando si riflette su come i sogni di una persona possono essere scartati in base al luogo di nascita.

Le registe, Deka Mohamed Osman e Yasemin Şamdereli, insieme alla protagonista, hanno soffermato sull’ingiustizia di valutare i sogni in modo diverso a seconda dell’origine. Hanno fatto notare che, nel 2024, persistono ancora delle divisioni basate sul colore della pelle che limitano la comprensione e l’empatia. La paura, come evidenziato da Şamdereli, è un sentimento manipolativo spesso usato dalla politica per distogliere l’attenzione dalla realtà e mercificare le vite delle persone.

Samia Yusuf Omar, secondo le registe, è molto più di una giovane ragazza con un sogno. È un simbolo di tenacia e resistenza, un esempio vivente di come, nonostante le avversità, vi sia sempre spazio per lottare e sperare. La sua storia richiede non solo di essere ascoltata, ma anche di risuonare forte, per rappresentare le innumerevoli voci che non hanno potuto raccontare il proprio tragico e vivido percorso verso il futuro.

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