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Ethos: recensione senza spoiler della serie turca di Netflix

“Bir Başkadır” letteralmente tradotto “è un’altra”

Ethos

“Ethos”, in originale “Bir Başkadır”, è un dramma corale creato da Barkun Oya che ruota attorno a più studi di terapia. Da questi si diramano storie diverse che affrontano temi universi in una cornice socioculturale e religiosa che non sempre lascia spazio alla massima espressione di sé. Un contrasto che rende da subito lo show innovativo e profondo. “Ethos” scava nell’individualità di ogni personaggio che si scopre e conosce nel corso di una storia di vita.

Protagonista principale è Meryem (Ökü Karayel) giovane donna che inizia un percorso di terapia con Peri (Defne Kayalar), psicologa fredda e distaccata che a sua volta frequenta lo studio della sua collega-analista Güblin (Tülin Özen). Güblin, insofferente nei confronti di Peri, è perennemente in conflitto con la sorella, soprattutto quando si tratta di decidere come comportarsi con il loro fratello disabile. Questi personaggi si legano a Sinan (Alican Yücesoy), uomo enigmatico e affascinante, dal quale Meryem si reca ogni settimana a fare le pulizie, e che intrattiene relazioni con varie donne.

Una di queste è Melisa (Nesrin Cavadzade), attrice di una famosa soap opera, conoscente di Peri, con la quale frequenta lo stesso corso di yoga. Meryem si trova a dover fronteggiare una situazione difficile a casa con il fratello Yasin (Fatih Artman) e la cognata Ruhiye (Funda Eryiğit) che ha più volte tentato il suicidio. Oltre a Peri si confida con Hodja (Settar Tanrıöğen), anziano capo della comunità musulmana turca, che vive con la moglie e la figlia.

Un cast corale che non lascia nessuno a margine

Ethos

Personaggi che intrecciano le loro storie e la loro vita, un passato del quale si avverte la presenza, concentrandosi però sulle difficoltà quotidiane. La rabbia per il dolore altrui, la gioia di un amore anche se non corrisposto, e l’insofferenza nei confronti di usi e costumi di una cultura diversa sono solo alcuni dei temi che racconta “Ethos”. La serie riesce a parlare di qualcosa di universale come i valori della famiglia, l’amicizia e l’amore. Ma anche di dettagli e particolari che riguardano specificatamente i personaggi, trasmettendo che sono le emozioni e i dolori a rendere gli esseri umani tutti uguali.

Come Peri vede la religione che segue Meryem un ostacolo all’espressione di sé, la sua ostilità nei confronti dell’Islam la rende schiava di un pregiudizio. La serie trasuda umanità e sofferenza, rendendo un’immagine fissa un affresco pieno di colori, ma anche un quadro di estrema solitudine. Un racconto realizzato con arte e attenzione, un evento sconvolgente, positivo o negativo, che cambia per sempre le vite di ognuno. Un filo che lega ogni personaggio indagandolo nella sua profondità, rappresentando così le diverse anime della Turchia.

Un’incomunicabilità divisoria

Ethos

“Ethos” parla di comunicazione: il dialogo tra marito e moglie, tra paziente e analista, tra genitori e figli, tra amici, tra datore di lavoro e impiegato, tra innamorato e amata. Comunicazione e rapporti, colonne portati della vita, si scontrano con una difficoltà di conciliazione che contraddistingue le differenze tra le persone. Differenze che risiedono nel carattere, nella cultura e nelle esperienze vissute. Tra personaggi che chiudono con il passato e altri che cercano di vivere il proprio presente, la serie dà quella speranza, che anche nei momenti più drammatici, è davvero l’ultima a morre. “Ethos” è un viaggio poetico nel dramma di un Paese, e di un mondo, che non sempre riesce a colmare distanze e divergenze.

La regia si muove sicura nel villaggio della comunità musulmana e nella metropoli turca che esplode di tecnologia. Il contrasto tra un luogo rurale dove la fiducia non svanisce mai e la convinzione che basti accendere e spegnere un interruttore per risolvere dei problemi. Con molte inquadrature fisse che durano spesso svariati minuti e primi piani silenziosi carichi di espressività, la sceneggiatura racconta e smentisce, fa parlare i personaggi e parla agli spettatori. Il pubblico entra nel privato delle tre donne che muovono la storia, osservando dall’interno un luogo che esige sincerità e trasparenza, come è uno studio di psicoterapia. Ma che non può comunque togliere quel velo che protegge le persone dall’esporsi troppo, dal guardarsi dentro, dal capire l’origine di quelle azioni e quei sentimenti che sfuggono al proprio controllo.

28/01/2021

Giorgia Terranova

 

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