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I 5 motivi per cui “La Vita Bugiarda Degli Adulti” è la storia di formazione più intrigante della stagione (e non solo)

In un panorama streaming sempre più dominato dalle storie adolescenziali e di formazione, La Vita Bugiarda Degli Adulti è forse il racconto più originale e intrigante cui abbiamo assistito di recente. Dopo mesi dall’uscita su Netflix, il grande successo di pubblico e il clamore mediatico generato tra gli addetti ai lavori, possiamo affermare col necessario distacco che si tratta di una serie tv innovativa, di un prodotto italiano sopra la media, raffinato e ricercato, che mostra una Napoli poco stereotipata eppure così potente nella sua identità più originale, verace e malinconica.

Andiamo dunque ad analizzare i cinque motivi per i quali la serie diretta da Edoardo De Angelis è la storia di formazione più intrigante della stagione (e non solo).

L’ambientazione

Possiamo iniziare col dire che non è un caso sia una serie ambientata a Napoli, patria delle emozioni forti, città che ha svelato a più riprese il suo imbattibile fascino cinematografico. Napoli, in un prodotto audiovisivo che sappia valorizzarla, è un vero e proprio personaggio prima ancora che un’ambientazione, una specie di deus ex machina che risolve i problemi, un burattinaio che muove le azioni e la bocca dei protagonisti.

In questo caso, la realtà partenopea viene spaccata in due e presentata nella sua magnifica ambivalenza: da una parte la Napoli borghese e protetta, rassicurante e visivamente spettacolare ma artefatta, che si è attribuita una maschera elegante, fatta di aperitivi con lo champagne e viste mozzafiato su Posillipo, dall’altra la Napoli periferica, sporca e sotterranea, che si finge smodata e triviale, per citare la Ferrante “fatta di palazzine squallide, di muri stinti, di capannoni industriali e baracche e baracchini, di squarci verdi sporcati da rifiuti di ogni genere, di buche profonde piene della pioggia caduta di recente, di aria marcia”, eppure permeata di vibrazioni mistiche, allucinazioni, speranze, magia.

Non è però solo lo spazio a caratterizzare La Vita Bugiarda Degli Adulti, ma anche il tempo: gli anni ’90, sospesi e malinconici, intensi e crepuscolari, dove gli ideali più solidi (il comunismo, l’autorevolezza genitoriale degli adulti, la purezza adolescenziale, la fedeltà matrimoniale) sono pronti a perdersi e crollare una volta per tutte sotto i colpi di una nuova era, di un nuovo modo di vivere e di pensare.

I personaggi

I personaggi, nell’ampio respiro narrativo di una serie televisiva, rappresentano uno dei principali ingredienti per garantirne la riuscita. Lo spettatore si affeziona ai personaggi più che alla storia in sé, alle loro crisi e alle loro debolezze, ai rischi che devono e spesso vogliono correre, al tortuoso percorso di crescita che attraversano nell’arco dei vari episodi.

La Vita Bugiarda Degli Adulti può contare su dei personaggi ricchi di sfumature, straripanti come fiumi in piena e pronti ad esplodere come bombe ad orologeria. Giannina, la protagonista, è una mina vagante, sospesa tra l’educazione mondana e politicizzata dei genitori e il richiamo dell’eccentrica zia Vittoria, il canto ribelle delle sirene di periferia e della rivoluzione autentica che puzza di strada, palazzi decaduti e bancarelle ambulanti. Interpretata dall’esordiente Giordana Marengo, Giovanna detta Giannina è un errore nel sistema che ribalta con intraprendenza gli stereotipi e le convenzioni sociali, trasformando in un punto di forza l’ingenuità e la timidezza verbale che la contraddistinguono.

Rossella Gamba è Angela, “pettegola scassacazzo” ma anche il maggiore affetto di Giannina, dotata di una leggerezza che solo per colpa delle pressioni esterne si tramuta in apparente superficialità, di una tenerezza sopraffina per la quale pensa di poter cancellare tutti i peccati commessi e il peso di diventare adulti tramite un semplice bacio in bocca con l’amica più cara, che ama e rispetta più del ragazzo con cui è fidanzata.

– Giovà, noi stiamo inguaiate. Non ci facciamo le canne, non facciamo i bocchini. Non suoniamo nemmeno la chitarra!

-La chitarra è grave.

Entrambe sono state cresciute in modo simile dai rispettivi genitori, che a loro volta sono migliori amici, frequentano gli stessi ambienti politici e le stesse cene. Bevendo champagne e mangiando caviale al tramonto di un comunismo che si è completamente dimenticato dei suoi antichi ideali, sempre meno concreti e sempre più arrugginiti nell’intellettualità dei libri e nell’immaterialità di un “fischia il vento, infuria la bufera”, vaticinano, si compiacciono, parlano a vanvera e si tradiscono, tra piedini sotto al tavolo e bugie premeditate senza rimorso alcuno.

La carnalità sfiorita e sporcata di sofferenza della Nella di Pina Turco si contrappone all’incantevole sfacciataggine di Andrea, un omonimo Preziosi in grande forma, che dietro la maschera di un insegnante arguto e colto nasconde il banale desiderio di “innamorarsi di Posillipo e sposare una femmina coi soldi”, come gli ricorda puntualmente Vittoria, la tanto odiata sorella interpretata da Valeria Golino, in quello che forse è il ruolo più prorompente della sua carriera.
Dall’altra parte (dello specchio) troviamo invece la coppia formata da Mariano (Biagio Forestieri) e Costanza (Raffaella Rea): lui intellettuale ossessionato da immaginari nemici e sempre pronto ad esibire un sarcasmo cinico e intriso di “scontenti aspri”, lei accomodante e misurata, ricca abitante di Posillipo i cui modi sono ammirati da Giannina e talvolta invidiati da Nella.

Interessante anche il personaggio di Roberto (Giovanni Buselli), un teologo profondo e seducente – in maniera appositamente troppo urlata per sedurre davvero – del quale Giannina si infatua, che insieme a Vittoria incarna più di chiunque altro il mistero opaco e sotteso di cui si nutre la sceneggiatura della serie.

La regia e il linguaggio cinematografico

Non è certamente più una sorpresa che le serie televisive abbiano in qualche modo rimpiazzato – almeno nelle preferenze di massa – l’esperienza della sala cinematografica, e che di conseguenza abbiano raggiunto un livello qualitativo medio particolarmente alto, soprattutto per ciò che riguarda il lato tecnico, ma La Vita Bugiarda Degli Adulti è uno dei prodotti seriali italiani che più riesce ad elevarsi e comunicare con il linguaggio vero e proprio del cinema.

Merito del regista Edoardo De Angelis, che ha immaginato con travolgente passione le pagine del romanzo di Elena Ferrante. L’universo visivo che l’autore napoletano ha trasposto sullo schermo è ambiguo e spettrale, spaesante e talvolta ermetico, ma al contempo anche colorato, dolce, suadente, rispetta a pieno le radici solide piantate dal romanzo, anzi ci si aggrappa per impreziosirle ed espanderle attraverso la singolarità del proprio mezzo espressivo.

La natura sospesa e onirica delle immagini è un crescendo sperimentale e si fonde con la sostanza pura del cinema d’autore italiano più classico, generando un piacevole miscuglio di verità e illusione, un realismo magico che affonda nelle acque incantate del sogno per illuminare il buio ancestrale della realtà.

L’origine letteraria

Su una sola parola non ho dubbi, in quella occasione la pronunciò spesso, sfogliandola come una margherita. Mi riferisco a “compunzione”, capii che la usava in modo anomalo. Disse che andava ripulita dei brutti usi che se n’erano fatti, ne parlò come di un ago che doveva far passare il filo attraverso i brani sparsi della nostra esistenza. Le diede il significato di una vigilanza estrema su sé stessi, era il coltello con cui ferire la coscienza per evitare che prendesse sonno.

Elena Ferrante è una figura completamente avvolta nel mistero, sia per quanto riguarda l’identità (ancora sconosciuta), sia per il modo di scrivere e raccontare storie. Le opere della scrittrice napoletana, tradotte e amate in diverse parti del mondo, sono caratterizzate da atmosfere criptiche e sfuggenti, trascinano il lettore in una dimensione intima dove i dettagli, le parole non dette o comunque appena sussurrate e i piccoli gesti diventano strumenti di (non) comprensione dell’imperscrutabile umano.

Già dai i suoi primi romanzi, L’Amore Molesto e I Giorni Dell’Abbandono, adattati al cinema rispettivamente da Mario Martone e Roberto Faenza, e in seguito con le versioni televisive de L’Amica Geniale, abbiamo avuto modo di constatare quanto i romanzi della Ferrante si prestino ad essere trasformati in prodotti audiovisivi. La sua capacità di raccontare Napoli nelle tante sfaccettature che la caratterizzano ha contribuito enormemente all’esplosione di quest’ultima nell’immaginario collettivo e nelle produzioni seriali e cinematografiche.

La Vita Bugiarda Degli Adulti non fa eccezione: le origini profonde della singolarità stilistica e narrativa della serie diretta da Edoardo De Angelis sono da rintracciare proprio nella sua origine letteraria, non a caso è difficile pensare all’ipotesi di una seconda stagione – che ad ogni modo è attesa, visto il successo della prima – senza avere davanti un nuovo libro che ne ponga le basi e ne detti le condizioni.

La colonna sonora

De Angelis ha affidato le principali musiche della serie ad Enzo Avitabile, potente ed iconica espressione di napoletanità, con la sua voce vibrante e la sua aura popolare e folcloristica. La musica e le canzoni, nell’arco dei sei episodi, assumono un ruolo così centrale da risultare devastante, talvolta grazie ad una voluta ridondanza che ipnotizza l’ascoltatore e si mischia alla patina altrettanto mistica e straniante delle immagini in movimento.

Anche le parole, quelle pronunciate in italiano allo stesso modo di quelle in dialetto, si fanno sublime colonna sonora degli avvenimenti. Il suono della voce dei personaggi è infatti una specie di sinfonia che risveglia vibrazioni differenti a seconda dell’intenzione e della provenienza culturale di chi le (de)canta, arricchendo ulteriormente la struttura drammaturgica di un’opera che nuota a stile libero in un oceano impenetrabile agitato dalle onde di inestricabili e profondi misteri.

Questo gioco fonetico risulta ancor più evidente nel modo di parlare della protagonista Giordana Marengo, che quasi mangiandosi le parole produce un effetto sonoro dolce e ritualmente occulto, in linea con il caos indecifrabile delle proprie fulgide emozioni.

Non hai capito un cazzo Giovà. Io non sto male, io sto benissimo. Hai capito? Tu e tua madre mi avete costretto a dirvi un sacco di bugie per non farvi male. Io amavo tua madre, poi mi sono innamorato di un’altra donna. Mi sono innamorato di Costanza e non me ne vergogno. Mi sono preso quello che desideravo. Vogliamo parlare di bugie? Il piedino sotto il tavolo tua madre se l’è tenuto, però non è andata fino in fondo. Perché non ha avuto il coraggio di scegliere, io invece ho scelto. Perché io sono un passionale. E adesso ti posso dire la verità: ti voglio bene, più della vita mia, però tu e tua madre non mi dovete rompere il cazzo.

A volte ci si fa del male e basta, non è colpa di nessuno.

Questo Giannina sembra averlo già capito, prima ancora di avventurarsi nel percorso di scoperta delle bugie degli adulti. Passando per bellezza, somiglianza, amarezza, solitudine e amore, raggiunge una liberatoria disillusione, quando la stessa zia Vittoria che le aveva suggerito di notare le menzogne, svela finalmente la sua vera natura. Lì forse Giannina comprende che anche se tutti, intorno a lei, sembrano ferirsi per colpa delle bugie, è la verità che fa male davvero, ma la verità è come Dio: “non si può capire, sennò come farebbe a essere Dio?”.

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Corrado Monina

Corrado Monina

Mi chiamo Corrado, mi occupo di sceneggiatura, regia e critica e lavoro per il Filmstudio di Roma come responsabile creativo. Amo il cinema, la musica e tutto ciò che ruota intorno alle arti visive e alla letteratura.

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