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American Horror Story: Apocalypse (8×04) – Recensione Spoiler

Murphy alza di nuovo l’asticella, confezionando un episodio pregno di eventi e tirato a lucido. Nel calderone di “AHS: Apocalypse” finiscono richiami e voci del passato: questa volta tocca all’Hotel Cortez.

 

 

American Horror Story: Apocalypse – Oppressi e oppressori

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Lo scontro è ormai frontale. La dicotomia già annunciata nell’episodio precedente prende forma, allargandosi a conflitto aperto tra femminile e maschile, benigno e maligno. Murphy compie un’operazione intelligente, ampliando gli spazi di riferimento della narrazione: ci si allontana dagli spazi già esplorati della congrega di Coven per scandagliare nuovi territori, aprirsi a nuovi scenari. Si lavora per flashback, in un gioco sofisticato di scatole cinesi: si scopre che l’Avamposto 3 era un vecchio quartier generale di stregoni, casa in cui era stato accolto Michael Langdon. Tramite incastri vertiginosi, si torna indietro alla realtà prima della catastrofe nucleare, a quella Hawthorne School poi rasa al suolo – una volta istituto per la formazione di giovani stregoni e parallelo maschile della scuola gestita da Cordelia Foxx (Sarah Paulson).

La camera rispolvera i passi che hanno portato alla deriva fatale, la narrazione si avvita e torna ad anni prima, cesellando presente e passato. La calma placida che rivestiva la scuola viene squarciata da una notizia inaspettata: la leggenda dell’Alpha, l’unico uomo che possa competere con la Suprema sul piano dei poteri magici, sembra astrarsi dal mito e farsi carne, realtà. Arriva una videocassetta; viene immortalato un ragazzo gracile, in carcere: Michael Langdon. Segue un alterco con una guardia, violenza, insulti. Nell’estremo atto di difendersi, Langdon uccide l’uomo con il solo pensiero.

I maestri dell’Hawthorne, presi da esagitazione e turbamento, paventano sin da subito scenari possibili: dopo anni di sopraffazione femminile, di sessismo inverso, sono pronti a sovvertire la misocrazia imposta dalle streghe. Si dedicano alla preparazione meticolosa di Langdon; ne sottovalutano la carica distruttiva. Tramite la polverosa – ma pur sempre efficace – tecnica dello straniamento, Murphy riesce a pilotare un episodio denso e ben congegnato, accompagnando per mano lo spettatore tra spirali di risentimento e silenzio, pieghe di rivalsa e oscurità. La serie prende forma e inizia a darsi connotati, crescendo progressivamente.

 

American Horror Story: Apocalypse – Il sorpasso

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Arriva subitaneo l’incontro tra le due parti; lo scontro si inasprisce, si acuiscono i dissidi tra stregoni e streghe. Il faccia a faccia diventa pretesto narratologico per aprire uno squarcio sul passato, su quello che è stato volontariamente taciuto. Si ritorna a Queenie (Gabourey Sidibe), bloccata nell’Hotel Cortez dopo il suo assassinio nella quinta stagione; la stessa Suprema ha poco margine d’azione di fronte alle regole dello stabilimento infernale. Architettare stratagemmi in grado di liberare la giovane strega pare azione utopica: lo stesso hotel ha prosciugato ogni goccia vitale di Queenie, assorbendola completamente. Diventare inquilino del Cortez significa rimanere per sempre nella bolgia infernale, amalgamarsi alla realtà luciferina.

Michael Langdon riesce dove la Suprema fallisce, mettendo in serio pericolo il predominio femminile. Rottura ancora più ideologicamente significativa: la donna, vista come colei che porta con sé il segreto e il potere (magico), che priva l’uomo della vista di una qualche verità a lui negata, perde il privilegio della magia. La sacca, l’utero che nasconde prodigi all’uomo preclusi, perde d’importanza e cede il passo alla potenza maschile: Langdon irrompe nel Cortez, liberando Queenie; piega lo spazio–tempo e irrompe nell’inferno personale di Madison Montgomery (assassinata nella terza stagione), la strappa via al mondo acheronteo.

Murphy continua a traghettare la narrazione verso porti inediti, pur strizzando furbamente l’occhio a personaggi già rodati e acclamati dal pubblico (palese l’ammiccamento alla Myrtle Snow interpretata da Frances Conroy). La sensazione è quella di una storia che rischia di avvitarsi su sé stessa, ma conscia di essere ormai deliberatamente sopra le righe, libera nel darsi contorni e disegnarsi. “AHS: Apocalypse” ha appena spiccato il volo.

 

 

 

Simone Stirpe
09/10/2018

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