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Nottetempo – Recensione

L’opera prima di Francesco Prisco, a meta strada tra un noir e un road movie

Regia: Francesco Prisco – Cast: Giorgio Pasotti, Nina Torresi, Gianfelice Imparato, Esther Elisha, Antonio Milo – Genere: Drammatico, colore, 90 minuti – Produzione: Italia, 2013 – Distribuzione: Videa CDE – Data d’uscita: 3 aprile 2014.

nottetempoNottetempo è l’istantanea di tre destini che si incrociano in una notte che poteva essere una delle tante, prima di essere squarciata da un tragico incidente. Matteo, un poliziotto, Nina, una giovane ragazza innamorata, e Enrico, un comico che non sa più ridere, vengono in qualche modo uniti da questa tragedia, tutti e tre sono in qualche modo collegati a essa: il primo ritrova qualcosa, la seconda scopre un sentimento, il terzo perde un affetto. Questo li porterà a intraprendere un viaggio verso la stessa meta.

L’opera prima di Francesco Prisco è a metà strada tra un noir e un road movie; tre persone in viaggio da Napoli a Bolzano – in moto e in auto – chi per riconquistare il proprio passato, chi per vendicarlo, chi per amore, tutti pervasi da una fondamentale inquietudine, iniziata nella notte dell’incidente, difronte alla situazione che stanno attraversando e alla vita che stanno vivendo.

Quella raccontata da questo film potrebbe essere definita una storia aleatoria, una pièce messa su esclusivamente dalla non-logica del caso, che prende per protagonisti delle persone qualsiasi con lo scopo di mostrare come, proprio nelle vite di queste, lontano dalla nostra attenzione, il destino voglia disseminare le tracce più eloquenti sulla nostra natura problematica di esseri umani.

Attraverso quest’intreccio casuale di vite, rispetto al quale i protagonisti non hanno nessuna possibilità di scelta e, addirittura, neppure una piena consapevolezza, il regista riesce a parlare della precarietà del nostro essere, costantemente esposto ai colpi del destino, mai padrone di se stesso, e cieco difronte alla propria condizione.

In conclusione, quello che potrebbe sembrare il limite di questo film, la sua fondamentale aporeticità, va dunque considerato nel suo effettivo statuto, che, anziché quello del limite, è quello della cifra definitoria consapevolmente rimarcata dal regista al fine di identificare questo lavoro e  chiarirne l’obbiettivo.

Claudio Di Paola

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