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Le donne del 6° piano – Recensione

Una commedia vivace e divertente purtroppo privata di un tocco di magia

(Les Femmes du 6e étage) Regia: Philippe Le Guay – Cast: Fabrice Luchini, Sandrine Kiberlain, Natalia Verbeke, Carmen Maura, Lola Dueñas – Genere: Drammatico, colore, 106 minuti – Produzione: Francia, 2011 – Distribuzione: Archibald Enterprise Film – Data di uscita: 10 giugno 2011.

donne-sesto-pianoUna Parigi anni ’60 fa da cornice alla vita borghese di una coppia ormai avanti con l’età, quella di Jean-Louis, austero e fiscale agente di cambio, e di sua moglie Suzanne Joubert, puntuale risposta femminile al mondo inquadrato di lui. Ovviamente arriva qualcosa, o qualcuno, a sconvolgere la loro noiosa tranquillità, apparentemente difesa e fortificata dietro le spesse mura del loro elegante edificio parigino.

A mettere sottosopra l’ordine disciplinato di una vita sarà la scoperta, da parte di Jean-louis, interpretato dall’amatissimo (soprattutto in Francia) Fabrice Luchini, di una vita del tutto diversa, quella effervescente e a tratti eccessiva di sei donne spagnole, “Le sei donne del sesto piano”. Luchini, calato nella sua giacca nera e nel suo tipico (o solito?) sguardo perso e incredulo, ben si adatta a rappresentare la rinnovata, o forse del tutto nuova, attrazione per l’esterno, per il ‘fuori da sé’, e una vergine curiosità che spinge quest’uomo ormai maturo ad iniziare a mettersi in gioco. Le senoras, di età e caratteri completamente diversi tra loro, ma comunemente legate da uno spirito positivo e da una pittoresca allegria, condurranno Jean-Louis a vivere una vera e propria trasformazione psicologica, fino alla perdita totale di contatto con la sua esistenza precedente, simboleggiata dal gesto della moglie che decide di buttarlo fuori di casa.

Una commedia romantica e vivace, veicolata visivamente dai sgargianti colori della fotografia, che definirei tipicamente francesi. Ma tipicamente francese è anche, a mio avviso, da qualche tempo a questa parte, la riuscita a metà. Siamo lontani dai perfetti gioielli di Rohmer, come anche dalla deliziosa pellicola di Jean-Pierre Jeunet “Il favoloso mondo di Amelie” (2001) che magistralmente ha saputo fare del piccolo gesto magico la sua grande cifra stilistica. Siamo lontani dalla capacità di saper tenere viva l’attenzione fino alla fine, e soprattutto dal non cadere nella facile trappola dei luoghi comuni. In definitiva, buona, forse anche innovativa l’idea ma un po’ sprecato lo slancio iniziale, per questo film di Philippe le Guay, fuori concorso al 61^ Festival di Berlino.

Dalila Iensi

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