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Il Flauto – Recensione

Il regista Luciano Capponi torna in sala con una pellicola fiabesca che, attraverso la poesia, riflette sul grande tema dell’aldilà

Regia: Luciano Capponi – Cast: Patrizio Oliva, Mister Lei, Totonno Chiappetta, Nicola Lo Izzo, Francesca Ferri, Loredana Trombetta, Sonia Di Pascali, Giuseppe Franco, Sante Ceci, Marina Provenzano, Pietro Daniele Aldrovandi, Fausto Saponara, Manlio Guadagni, Stefano D’Angelo, Antonio Della morte, Laura Faggioni, Giuseppe Gabbi, Irene Soldano, Angela Mililli, Elisa Dina, Ione Giacchetti, Augusto Leto – Genere: Fantascienza, colore, 98 minuti – Produzione: Italia, 2013 – Data di uscita: 17 ottobre 2013.

flautoLuciano Capponi torna al cinema per raccontare una nuova favola: “Il Flauto”. Il regista attraverso un’andatura costante e mai accelerata, riflette – e fa riflettere – su un tema complesso come quello dell’aldilà; cosa c’è dopo la morte? Che fine fanno le anime? Sulla base di queste domande sembra nascere la pellicola di Capponi, incentrata sul personaggio di Gennaro Esposito, un uomo semplice nella sua ignoranza e nei buoni sentimenti, portatore di quelle virtù – la semplicità, il buon senso e il rispetto verso il prossimo – ormai dimenticate dalla razza umana. Ecco che, allora, Gennaro diventa improvvisamente speciale in un posto in cui le anime smemorate attendono di rinascere, tenute sotto controllo da un’equipe aliena che mira alla globalizzazione totale del pianeta Terra.

Come accennato, la narrazione segue un andamento lento e mai accelerato che, se da una parte rischia di annoiare, dall’altra ben si addice all’atmosfera del film e al tema che si propone di trattare, contribuendo a esaltare quel clima di attesa perenne in cui le persone/anime si trovano costrette a ‘vivere’. A dare un senso di straniamento e alienazione contribuiscono anche i suoni, per lo più quelli di sirene assordanti che stordiscono, al fine di tenerle a bada, le anime.

L’aldilà assume le sembianze di una gabbia di matti smemorati in cui Gennaro (Patrizio Oliva), attraverso la sua ingenuità e il suo sorriso, rappresenta una possibile salvezza. A Oliva la parte calza a pennello, soprattutto grazie alla sua parlata napoletana che ben si presta allo scherzo e alla simpatia, e che rimanda subito alla mente la semplicità dell’uomo povero e poco istruito, ma dai sentimenti veri e onesti. Dietro il personaggio di Gennaro si cela, dunque, l’antidoto per il raggiungimento della libertà dell’essere umano, ormai sempre più schiavo della globalizzazione e, accanto ad essa, della smania del profitto a tutti i costi. In questo senso il protagonista rappresenta il riscatto dell’umanità, in particolare di quella italiana che oggi sembra essere scomparsa, ma che potrebbe rinascere e rifiorire.

Il film porta con sé tutte le caratteristiche di un’opera indipendente e, se si vuole, anche sperimentale: il suo obiettivo sembra infatti quello di voler raccontare una favola alla vecchia maniera, senza piegarsi alle convenzioni del cinema odierno e soprattutto del genere cui oggi la favola è confinata, il fantasy; ecco che allora si riscontra un ritorno alla semplicità, sia dal punto di vista della narrazione – priva dell’isterismo che impera nel cinema -, che dal punto di vista tecnico e del montaggio, dal quale traspare una ‘morbidezza’ che culla e introduce lo spettatore in un mondo fiabesco e surreale.

Come si può dedurre dal titolo, la chiave del film è, sostanzialmente, la musica: il mezzo con cui Gennaro risveglia le anime riportandone alla luce la dignità umana perduta; il tutto attraverso un flauto ‘magico’, ricavato da una rudimentale croce di legno, che racchiude in sé la parola di Dio. Ogni volta che suona, esso emana la musica di Dio, che non ha bisogno dell’intelletto per essere compresa, poiché agisce nell’anima più profonda, intuitiva e irrazionale.

In conclusione il film è ricco di buoni propositi e porta con sé un messaggio e un pensiero profondi, cui il regista dà voce attraverso un linguaggio carico di poesia, difficile da trovare in quelle pellicole che attirano il consenso del grande pubblico. Ma forse l’intento del regista non è il mero successo: forse lo scopo del film è far riflettere su uno dei misteri della vita, l’aldilà, e per farlo sceglie, semplicemente, la via della poesia.

Francesca L. Sanna

Il Flauto – Recensione

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