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Hungry Hearts – Recensione

Maternità ossessiva, intreccio mortale di responsabilità, la vita di un bambino come posta in gioco nel nuovo film di Saverio Costanzo

Regia: Saverio Costanzo – Cast: Adam Driver, Alba Rohrwacher, Roberta Maxwell, Al Roffe, Geisha Otero, Jason Selvig, Victoria Cartagena, Jake Weber, David Aaron Baker, Natalie Gold, Victor Williams – Genere: Drammatico, colore, 109 minuti – Produzione: USA, 2014 – Distribuzione: 01 Distribution – Data di uscita: 15 gennaio 2015.

hungry-hearts“Hungry Hearts” è un film crudo, costruito sulla base del modello del thriller e virtuoso in diverse scelte registiche, audaci quanto efficaci.

È la storia di un incontro, buffo quanto propizio, tra un uomo americano e una donna italiana: Jude, un convincente Adam Driver, e Mina, una fragile e intensa Alba Rohrwacher; l’incontro si traduce in relazione amorosa, la relazione produce una nuova vita, e qui il meccanismo dell’idillio si inceppa. La madre, vegana, persegue un ideale di purezza sulla base del quale intende plasmare la vita e la struttura fisica del figlio appena nato. Lo nutre solo con cibi vegetali, privandolo anche del latte dopo i primi quattro mesi di allattamento. Ma l’ideale perseguito esige un duro prezzo, che la donna rischia di dover pagare: il bambino non cresce, e il pericolo mortale si fa sempre più incombente. È il momento per l’uomo, dopo una serie di tentativi di compromesso falliti, di entrare prepotentemente in azione, di farsi carico del peso gravoso della situazione che viene prospettandosi: “rapisce” il bambino e trova rifugio nella casa materna, cominciandolo a nutrire regolarmente. Mina non ci sta. Il gioco delle responsabilità si intreccia con quello delle convinzioni personali: la deflagrazione è nell’aria.

Lo scenario è particolarmente azzeccato: una New York non cinematografica, con la skyline poco scenografica e dominata da fumi tossici. È l’emblema dell’industrializzazione aggressiva e oppressiva, l’esterno plumbeo e cancerogeno dal quale la madre vuole proteggere il figlio, relegandolo in uno stato di clausura cristallizzata, quanto più impossibile incontaminata, uno schermo disposto per filtrare le esalazioni nocive del mondo di fuori.

Gli interni, nei quali il film è girato per larga parte della sua durata, accentuano la percezione claustrofobica: l’appartamento in cui la coppia trascorre la propria vita è stretto, angusto, sviluppato in verticale. Proprio qui il taglio registico fa la differenza, con l’utilizzo del grandangolo, congiunto in alcuni casi a riprese dal basso (la felliniana “visuale del sorcio”), che deforma corpi, visi e oggetti, accentuando il progressivo straniamento dei protagonisti.

Altra peculiarità nell’impostazione narrativa è la struttura per tableaux: scene rilevanti della vita in comune dei protagonisti vengono disposte in consequenzialità cronologica, in una rappresentazione lineare molto efficace.

Presa posizione contro la moglie, la situazione dell’uomo – in precedenza sempre disposto a scendere a compromessi pur di mantenere un fragile equilibrio familiare – si va a incastrare in un punto di non ritorno. Rotti gli equilibri, il gioco diventa mortale. Eppure, la contrapposizione non è così netta: le sfumature psicologiche e comportamentali dei personaggi non sono definite secondo uno schema nitido, sembra anzi che da una parte e dall’altra ci sia sempre un barlume di apertura, un desiderio latente di ridefinizione del rapporto su basi diverse, reciprocamente accettabili. Eppure, la degenerazione della vicenda prosegue inesorabile, fino a rendere necessario il sacrificio umano – che in realtà è duplice: c’è chi ci rimette la vita e chi agisce per fare in modo che il conflitto venga sanato eliminando una delle due parti in causa, condannando allo stesso tempo sé stesso. Anche il sacrificio, però, non offre redenzione: allo stato dell’evoluzione della vicenda, diviene il mero prodotto di un concatenarsi di cause ed effetti giunto a un livello di saturazione.

“Hungry Hearts” è una narrazione sincera e complessa, capace di scavare a fondo in uno scontro di personalità e di concezioni di vita, uno scontro scatenato attorno a una posta in gioco di valore estremo: la vita di un bambino.

Marco Donati

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