Si è tenuta oggi a Roma la conferenza stampa del film di Francesca Comencini “Amori che non sanno stare al mondo”, adattamento del romanzo omonimo del 2013, alla presenza della regista, delle sceneggiatrici e del cast.
A proposito della frammentarietà dei racconti e della difficoltà di riconsegnare un’unitarietà alla storia, Comencini ha spiegato come le sceneggiatrici che hanno collaborato con lei abbiano dato un tono diverso, «aperto il racconto» e «portato ironia alla storia». Il punto in comune che c’è con il libro, comunque, è proprio la frammentarietà e Comencini dichiara che: «Il film è pensato come il flusso di coscienza di una persona che, nel momento in cui perde l’amore, comincia – all’inizio ossessivamente – a cercare di ricostruire il tutto, di mettere insieme i pezzi, i cocci e poi cerca di capire quell’amore, per ritrovare infine sé stessa trasformata. Questa è la forma del film: un apparente disordine».
Viene chiesto a Francesca Comencini dalla platea se creda che il modo di amare maschile sia diverso da quello femminile. La regista risponde che la sua prospettiva è, per forza di cose, femminile, ma che il suo lavoro non vuole essere in alcun modo inquisitorio nei confronti degli uomini. Comencini infatti spiega come volesse evitare ogni pregiudizio e acrimonia.
In merito al rapporto tra uomo e donna, la regista aggiunge che, oltre alla nozione del tempo storico – espresso dalle scene di repertorio – il film fa i conti con la «nozione del tempo rispetto all’età». Amori che non sanno stare al mondo parla di un uomo e di una donna di mezza età, che stanno dunque attraversando «il secondo atto della loro vita». Dal film emerge chiaramente – soprattutto nella scena onirica in cui si raccontano le diverse età degli uomini e delle donne nel mercato sessuale – come con l’età e con il passare del tempo sia differente tra i due generi. Comencini non ha però voluto mettere in scena una vittima, preferendo piuttosto parlare di Claudia come di una persona disperata, talvolta insopportabile, eccessiva, ma che non fosse mai dipinta in maniera vittimistica. Comencini ha voluto inoltre raccontare un uomo, Flavio, impaurito – talvolta giustamente – dalla foga e dagli eccessi di questa donna. Alla regista sembra infatti che questo sia un dato del maschile e che gli uomini appaiano impauriti «in quest’epoca di strattonamenti».
Mascino ci parla poi del lavoro svolto insieme a Thomas Trabacchi e a Francesca Comencini durante la lavorazione del film: l’operazione di Mascino nel film non è stata «mai quella di mettere in scena il personaggio, ma di entrare in contatto con il suo punto di vista». L’attrice spiega infatti come non ci siano state delle vere e proprie «prove classiche» ma che, durante i loro incontri, i tre abbiano «più parlato che provato, legittimando così il personaggio e la sua esistenza». Secondo lei il racconto di autodeterminazione del personaggio di Claudia è molto importante. Inoltre Mascino dice che Claudia è «travolgente» e che raramente si trova un personaggio così al cinema, inserito in un’opera che «si colloca in bilico tra tragedia e commedia».
Lucia Mascino racconta infine di come, dopo una proiezione in Russia, sia rimasta particolarmente soddisfatta della ricezione del film da parte del pubblico russo, che si è mostrato entusiasta e commosso dalla storia e si augura che «Amori che non sanno stare al mondo» riesca a muovere parimenti il pubblico italiano.
L’attore Thomas Trabacchi prende la parola, spiegando come si senta una «minoranza etnica» in un contesto completamente al femminile, ma che non ci stia scomodo. Egli parla del suo personaggio, Flavio, come di «un uomo che non ce la fa» e che, parafrasando il film, è il «portatore di un mondo che non sa stare nell’amore». Trabacchi spiega al pubblico quella che per lui è una scena cardine del film, la scena in cui Flavio si denuda davanti a Claudia: «L’amore ti mette a nudo e Flavio si spoglia letteralmente quando sceglie di lottare per l’amore. Facendo ciò rinuncia al suo potere, cui siamo tristemente abituati». L’attore spiega poi che si è sentito completamente a suo agio a recitare nel film, soprattutto perché gran parte delle emozioni travolgenti che emergono in alcune scene sono frutto dell’improvvisazione, seppur collocata in binari ben precisi. La possibilità di improvvisare ha rappresentato, per l’attore, «un privilegio», poiché gli ha consentito di «non terminare il processo creativo». L’attore aggiunge che la regista e tutta la troupe abbiano «posto le condizioni per andare avanti» “aprendo”, in un certo senso, il processo creativo, e dichiara di aver trovato ciò «molto materno».
Egli dichiara di conoscere molti uomini come Flavio e giudica il comportamento degli uomini di mezza età attratti da donne giovanissime come «vampirismo»: è un tentativo di succhiare la giovinezza altrui, dettato dalla paura di invecchiare.
Carlotta Natoli parla del suo ruolo di amica della protagonista, che è un ruolo che si è trovata ad interpretare recentemente anche in un altro lavoro. Natoli afferma che, secondo lei, il film ha «una forma un po’ jazz, in cui ciascuno trova un suo spazio». Lo spazio del personaggio che Natoli interpreta, Diana, è quello di «fare da contrappunto alla protagonista e di giocare il controtempo del dramma» e che raramente si è trovata ad interpretare un personaggio simile. L’attrice rivela che non sente Diana particolarmente vicina a sé, ma che si riconosce in lei «nel suo modo di sdrammatizzare le situazioni».
Natoli insite sul fatto che il film «solleva delle domande», e che «questa è la sua più grande qualità». Il film le ha lasciato anche «una grande amarezza» e una «riflessione su punti amari», che è una voglia di andare a cercare oltre. La grande capacità artistica di Francesca Comencini è quella di «concertare tantissime cose in un racconto che non è mai banale».
La parola passa alla più giovane del cast, l’attrice venticinquenne Valentina Bellè, che sostiene di aver «amato da subito la sceneggiatura», poiché in essa ha visto donne «così diverse ma tutte così vere». Bellè sostiene che, nonostante la sua giovane età, sia riuscita a ritrovarsi e ad identificarsi in tutte queste donne «almeno in qualcosa».
L’attrice parla di Nina, il suo personaggio, come di una donna «giovane e apparentemente sicura di quello che è», mentre la protagonista – la più matura Claudia – sembra non esserlo affatto, rimarcando come sia interessante questo paradosso «vista anche l’età» delle due.
Bellè conclude infine il suo intervento dicendo: «è bello far parte di questo squadrone di donne».
Il film è sceneggiato a sei mani da Francesca Comencini, Laura Paolucci e Francesca Manieri. Paolucci e Manieri parlano della costruzione della sceneggiatura a partire dal libro di Comencini.
Laura Paolucci ammette quanto sia difficile ricostruire un processo che è avvenuto ormai da due anni. Comunque, dice, la frammentarietà del libro recava in sé un metodo per raccontare una storia d’amore. Il libro è stata la base di partenza e il un primo approccio è stato mettere in risalto l’ironia e la comicità che già vi erano presenti. Paolucci paragona l’operazione svolta con la sceneggiatura alla cucina, poiché le tre hanno messo insieme «tante cose diverse, tratte da film, libri e situazioni di vita vissuta», talvolta «vendicandosi» anche, aggiunge divertita.
La sceneggiatrice Francesca Manieri aggiunge che la riflessione di partenza per l’elaborazione della sceneggiatura si basasse sulla ricerca del giusto modo di raccontare una storia d’amore che coniugasse il connotato universale al racconto di «questo tempo e di questo momento». Per fare ciò è stato «quasi una guida del pensiero» “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes. Manieri cita la lettura che Barthes dà a Henry James, in cui «nel farsi dell’azione amorosa, i due amanti producono un’iper-narrazione». Infatti, spiega, «tutti quando siamo innamorati ci raccontiamo l’amore che accade e abbiamo bisogno dello stesso tempo per raccontarci la fine di un amore. È questo che rende l’amore il paradigma dell’esistenza: il suo bisogno di essere iper-narrativo». Questo «è straordinariamente cinematografico, ma il cinema fa paura, perché produce un rapporto sbilanciato tra parola e fatto. È per questo motivo che hanno immaginato un personaggio che parla e che si racconta. Tutti i personaggi, in realtà, si raccontano e producono un pezzo della verità. Manieri ci dice che «quello che si sta producendo è una battaglia, il che lo rende più esemplificativo. Nel filmato d’epoca c’è una pacificazione forzosa, mentre qui c’è una guerra. E forse in questa guerra c’è la verità».
La sceneggiatrice ci racconta poi di come sia stato difficile scrivere e discutere sul finale del film, in quanto il suo innamoramento nei confronti dei personaggi le rendeva difficile elaborare il fatto che non ci fosse una pacificazione tra i due protagonisti.
Alla regista viene chiesto di esprimere un’opinione in merito agli episodi di molestie nel mondo del cinema e al caso Weinstein, dopodiché la conferenza si conclude con una domanda sul personaggio di Flavio, che può anche essere considerato positivo, dal momento che evita l’isteria di Claudia. Comencini sottolinea come sia possibile che ognuno pensi ai personaggi come vuole, in quanto il raccontare sia un’operazione ben diversa dal giudicare. I suoi personaggi si prestano dunque a diverse letture, nonostante il suo punto di vista non sia mai neutrale, poiché non crede nella neutralità, ma sempre strettamente personale e femminile.
Lucia Mascino aggiunge che l’ossessione e la presunta “isteria” della protagonista Claudia nel film possono anche essere visti come un modo di combattere, di non rassegnarsi. Insomma, dice Mascino, «isteria – che per me è piuttosto “ossessione” – a volte è crederci: è non voltare le spalle».
Marta Maiorano
23/11/2017
Tutte le info sull’immaginifico lungometraggio basato su una storia ideata dal fondatore della band, Dave…
Le più importanti info sulla 4 stagione.
L'appuntamento al teatro Argentina.
Ecco come imparare bene la lingua.