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W. – Recensione

Dopo “JFK – Un caso ancora aperto” e “Nixon”, Oliver Stone affronta la storia del presidente George W. Bush dagli inizi fino all’elezione alla Casa Bianca

Regia: Oliver Stone – Cast: Josh Brolin, Elizabeth Banks, David Born, Dennis Boutsikaris, Jesse Bradford, James Cromwell, Ellen Burstyn, Thandie Newton, Sayed Badreya, Jonathan Breck, Wes Chatham, Ioan Gruffudd – Genere: Drammatico, colore, 131 minuti – Produzione: USA, 2008 – Distribuzione: Dall’Angelo Pictures Digima – Data di uscita: 9 gennaio 2008.

W-loc“W.” di Oliver Stone si sofferma sulla vita privata di George W. Bush (Josh Brolin), 43esimo presidente degli Stati Uniti, in un excursus che dalla sua giovinezza, con l’iniziazione al college di Yale nella confraternita Delta, passa per il rapporto conflittuale con il padre Bush senior, l’autodistruzione per un problema d’alcolismo, la rinascita nella via del cristianesimo, fino alla sua ascesa politica culminata con la guerra in Iraq.

La gestazione di “W.” è stata più che fulminea. Alla sceneggiatura, scritta a quattro mani con Stanley Weiser, sono seguite le riprese terminate in meno di due mesi, usufruendo di un budget modesto (25 milioni di dollari), se si considerano le ingenti somme sborsate solitamente dalle majors americane, le quali hanno sorprendentemente scaricato il progetto di Stone.

Il regista, con “W.” chiude quella che potrebbe essere definita la sua “trilogia presidenziale”, cominciata con “JFK – Un caso ancora aperto” (1991) e proseguita con “Nixon” (1995), ma purtroppo il film negli Stati Uniti non ha raccolto il medesimo successo dei due precedenti, con pochissime copie distribuite nelle sale.

La pellicola di Oliver Stone alterna un ritratto di Bush più umano che politico, ad una visione caricaturale delle sue vicende personali, quali l’eterno senso di inadeguatezza nei confronti del padre che non nasconde la sua preferenza per il fratello, governatore della Florida. Nel suo lavoro Stone compie un’operazione simile a quella effettuata in “Nixon”, in cui tenta di umanizzare la figura del Presidente. Questa volta però non è l’aspetto drammatico della vicenda a voler essere messo in risalto, ma la sua ironia.

Ironico è il fatto che un adolescente sogni di allenare una squadra di baseball e che per non deludere il padre si veda costretto, senza nessun requisito, ad intraprendere la strada della politica. Ironiche sono le sue considerazioni ultraterrene, appannaggio dei sovrani del ‘500, che giustificano la sua candidatura a presidente degli Stati Uniti: ”Dio vuole che io sia presidente”. L’espediente del flashback, inserito continuamente nella narrazione principale, ha connotazione estremamente sarcastiche.

Il film, tuttavia, è il racconto di una sconfitta. Quella della guerra in Iraq, giustificata con la certezza (risultata del tutto erronea) della presenza di armi di distruzione di massa, e di una politica del tutto fallimentare, suggellata dalla vittoria alle presidenziali del primo afro-americano. Stone racconta un uomo non certo all’altezza del ruolo che ricopre, ma lo fa con un pizzico di leggerezza che gli consente di carpirne il lato più umano e se vogliamo spontaneo.

Il progetto resta comunque un documento storico, del quale servirsi per immergersi in una riflessione sui nostri tempi, alleggerita da una buona dose di satira che dona a George Bush, in qualche modo, lampi di tragica umanità.

Serena Guidoni

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