Eco Del Cinema

Vendicami – Recensione

Oriente e occidente s’incontrano in lingua inglese

Regia: Johnnie To – Cast: Johnny Hallyday, Sylvie Testud, Anthony Wong, Simon Yam, Lam Suet – Genere: Noir, colore, 108 minuti – Produzione: Francia, Hong Kong, 2009 – Distribuzione: Fandango – Data di uscita: 30 aprile 2010.

vendicamiPistole, sicari e onore fanno rima con To, Johnnie To. Canzoni, rancore e melanconia la fanno invece con Hallyday, Johnny Hallyday. Uniti nel sacro vincolo della macchina da presa hanno sfornato una pellicola di genere, il classicissimo mafia-movie tanto caro alla cinematografia di Hong Kong, esacerbato però nei toni, un eccesso di manierismo visivo che appesantisce la pellicola già gonfia di pioggia e dolore. Stavolta la sceneggiatura è un canovaccio in cui la parola “Vengeance” vendetta (qui trasformata in una supplica) conclude ogni sequenza narrativa, che sia dialogo o solo sparatoria. Ce ne sono molte e suggestive, anche troppe volendo sottilizzare, in cui ogni fotogramma al ralenty diventa concerto di proiettili e sangue.

Francis Costello sbarca a Macao per vendicare la figlia a cui hanno ucciso la famiglia. Ufficialmente è uno chef di Parigi, vent’anni prima era un killer. Due righe fotoniche e diversi bicchieri di vino convinsero i produttori ad una collaborazione franco-cinese a girare un film in lingua inglese, ambientato in terra d’oriente con protagonista il cantante Hallyday, icona tenebrosa delle vocalità d’oltralpe. Al resto ci avrebbe pensato il regista osannato dall’onnipresente Tarantino, quel To che tanto si raffronta con i predecessori, i padri delle armi da fuoco immerse nell’estasi di elementi naturali, vedere per credere i primi John Woo e Takeshi Kitano.

Partendo dal concetto che il plot prevede la vendetta come fine ultimo e sfogo personale, lavori del genere Hong Kong ne ha sfornati a bizzeffe ma siamo lontanissimi dai fasti letali del sudcoreano Park e della sua trilogia tematica culminata col capolavoro “Old Boy”. L’epopea di un uomo di mezz’età che si imbatte in un manipolo di friendly killer e con loro si batte in terra straniera per vendicare la propria figlia è piuttosto improbabile. Ma ciò assunto e accettata l’assurdità dei dialoghi imposti allo spaesato Hallyday, la regia incappa in una serie di interminabili sequenze oniriche e non che a malapena attraggono e troppo spesso, durante la proiezione, disturbano annoiando. O, vista in maniera positiva, conciliano il sonno.

Simone Bracci

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