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Tracks – Attraverso il deserto – Recensione

L’impresa solitaria della prima donna al mondo che attraversò il deserto australiano

(Tracks) Regia: John Curran – Cast: Mia Wasikowska, Adam Driver, Emma Booth, Rainer Bock, Jessica Tovey – Genere: Drammatico, colore, 107 minuti – Produzione: Gran Bretagna, Australia, 2014 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 30 aprile 2014.

tracksÈ il il 1977 e Robyn Davidson decide, all’età di venticinque anni, di attraversare il deserto australiano. Nel suo straordinario cammino da Alice Springs a Uluru e fino all’Oceano Indiano, Robyn percorre a piedi 2.700 chilometri, sfidando un ambiente spettacolare ma spietato, ad  accompagnarla sono il suo cane Diggity e  quattro cammelli. La notizia della sua avventura fa il giro del mondo, attirando l’attenzione della stampa mondiale. Per finanziare il proprio progetto, Robyn accetta a malincuore la  presenza occasionale di Rick Smolan, giovane e carismatico fotografo del New Yorker e del National Geographic, pur vedendo in lui un intruso e una minaccia per la riuscita del suo viaggio. Eppure, quello che era nato come un rapporto difficile tra due persone molto diverse, lentamente si trasformerà in una grande e inaspettata amicizia.

A fare da sfondo a questa incredibile esperienza, uno dei luoghi più selvaggi, pericolosi e spettacolari del pianeta. La disperata ricerca di sé spinge Robyn al limite della sua resistenza fisica e emotiva. Il suo è un percorso emblematico che parte dal bisogno di staccarsi dal mondo per sentirsene veramente parte. Seguendola si ha la sensazione  che l’impossibile, in fondo, potrebbe essere alla portata di ognuno di noi.

Il regista John Curran indaga, esplorando i silenzi e le dichiarazioni contenute nel libro di Robyn, accessibili in rete. Il lavoro di adattamento cinematografico appare molto curato nella rappresentazione della protagonista. Egli scava nel passato di Robyn, cercando gli elementi adatti a costruire un finale piuttosto soddisfacente. Ad occhi superficiali il motivo che avrebbe spinto la giovane donna a buttarsi a capofitto in una simile esperienza potrebbe sembrare una storia come un’altra: il bisogno di “staccare” dalla routine prima di iniziare un promettente futuro lavorativo. Alla base vi è invece una vera e propria necessità di uscire dagli schemi, dagli agglomerati sociali, dalla folla; il desiderio di allontanarsi dall’effimero, dalla famiglia e mettersi in gioco.

L’ interpretazione valida e matura della giovane attrice Mia Wasikowska mette perfettamente il luce questi aspetti. La sua Robyn si presenta come un personaggio solitario, estraneo alle chiacchiere da salotto dei suoi amici borghesi presi dalla politica e dalle loro carriere post-universitarie.

Lo stile della regia non segue alcuna logica precisa: si passa da primi piani a squarci paesaggistici mozzafiato ripresi in uno splendore mai banale e lontano anni luce dall’effetto cartolina, da silenzi e momenti di perdizione, di angoscia, da split-screen a immagini composite, da ralenti da groppo in gola a sgranature. Quello di Curran è  uno sguardo per nulla presuntuoso e narcisista, tipico di una pellicola che vuol fare dello sperimentalismo la sua arma principale.

La colonna sonora di Garth Stevenson riflette la natura senza tempo del paesaggio e l’esperienza di Robyn tagliata fuori dalla civiltà. Con le sue risonanze profonde, il contrabbasso di Stevenson è riuscito a cogliere la grandiosità del deserto.

Giulia Surace

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