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Thirteen Reasons Why: troppo violenta secondo gli esperti di sanità mentale

“Thirteen Reasons Why”, la nuova serie targata Netflix che tratta la tematica del suicidio negli adolescenti, è stata etichettata come troppo esplicita.

Thirteen Reasons Why: lo show farà più male che bene?

Thirteen Reasons Why - Tredici - Hannah

Katherine Langford (Hannah Baker) in una scena della serie tv “Thirteen Reasons Why”.

Tratto dal romanzo omonimo di Jay Asher, “Thirteen Reasons Why” (il cui titolo italiano è semplicemente “Tredici”) ruota attorno alla vita, o meglio alla morte, della diciassettenne Hannah Baker: la ragazza, infatti, si è tolta la vita e ha lasciato dei nastri in cui spiega le tredici ragioni, ognuna riconducibile ad un personaggio diverso che impariamo a conoscere poco a poco, che l’avrebbero portata a compiere il terribile gesto.

La serie co-prodotta da Selena Gomez ha raggiunto livelli di share altissimi, diventando uno dei prodotti originali di Netflix più seguiti in assoluto; non tutti, però, l’hanno apprezzata.

Dan Reidenberg, direttore esecutivo di “Suicide Awareness Voices of Education”, un’associazione no profit di prevenzione al suicidio, ha rivelato i suoi dubbi in merito:

“Mi allarma pensare che gli adolescenti possano identificarsi eccessivamente con la protagonista Hannah, ottenendo così l’effetto opposto e cioè una maggiore percentuale di suicidi a causa di questa serie tv. Non sono il solo, altra gente condivide le mie preoccupazioni, perchè è un fenomeno così esteso a livello globale da poter creare un Effetto Werther (fenomeno per cui la notizia di un suicidio pubblicata dai mezzi di comunicazione di massa provoca nella società una catena di altri suicidi)”.

Il suicidio, infatti, è la seconda causa di morte nella fascia d’età 15-34, secondo le ultime statistiche.

“Quando giovani particolarmente vulnerabili e a rischio suicidio vengono esposti ad immagini molto forti senza che venga fatto loro notare che chiedere aiuto funziona ed è davvero possibile stare meglio, questi tendono a ricreare quello che hanno visto. La serie non presenta una valida alternativa al suicidio, non parla di malattie mentali o di depressione. Io credo che abbia fatto più male che bene”.

Thirteen Reasons Why: uno show che spinge al dialogo

Al fronte delle tante critiche ricevute, dirette soprattutto allo sceneggiatore dell’ultimo episodio, quello che mostra il suicidio di Hannah, i produttori dello show hanno difeso il proprio operato commentando in questo modo:

“Volevamo rappresentarlo in un modo che fosse onesto e farne uno show che, almeno speriamo, possa aiutare le persone, perchè il suicidio non dovrebbe mai essere considerato un’opzione”.

Il co-produttore di “Thirteen Reasons Why” Brian Yorkey ha aggiunto che gli sceneggiatori hanno “lavorato moltissimo affinché il tutto non risultasse ingiustificato, ma volevamo anche che fosse doloroso da guardare, perchè volevamo che fosse chiaro che nel suicidio non c’è niente che valga la pena”.

I membri della produzione, inoltre, hanno consultato diversi professionisti di igiene mentale durante le riprese e fornito informazioni e i numeri da chiamare per prevenire il suicidio, disponibili sul sito 13ReasonsWhy.info.

Jay Asher ha concluso affermando:

“Il suicidio è un argomento di conversazione scomodo, ma succede e bisogna parlarne. E’ pericoloso non farlo, perchè c’è sempre un modo per aiutare e farsi aiutare”.

Sonia Buongiorno

24/04/2017

 

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