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The Canyons – Recensione

The Canyons: un thriller poco riuscito sulle ombre degli abitanti della periferia di Hollywood, sceneggiato da Bret Easton Ellis

Regia: Paul Schrader – Cast: Lindsay Lohan, James Deen, Nolan Gerard Funk, Amanda Brooks, Tenille Houston – Genere: Thriller, colore, 99 minuti – Produzione: USA, 2013 – Data di uscita: 14 novembre 2013.

the-canyonsL’associazione di due nomi prestigiosi come quello di Paul Schrader e Bret Easton Ellis non basta a fare di “The Canyons” un film ben fatto e incisivo. Noto per aver scritto la sceneggiatura di “Taxi Driver”, Paul Schrader si dedica alla regia di una pellicola che vorrebbe riprodurre sul grande schermo, a livello visivo, le sfumature minimaliste e crude della scrittura di Bret Easton Ellis, il quale ha realizzato personalmente la sceneggiatura.

“The Canyons” racconta di una coppia alle prese con ossessioni, perversioni e una crescente spirale di violenza: Tara (Lindsay Lohan) è fidanzata con Christian (James Deen), un ricco produttore figlio di papà che ama il voyeurismo e non sa trattenersi dal tradire la propria donna. Tutto cambia quando i due incontrano Ryan, il ragazzo dell’assistente di Christian, il quale si scoprirà essere stato un ex di Tara, disposto a non lasciarla via di nuovo dopo averla ritrovata.

Il film risulta nel complesso debole, con un andamento privo di tensione, nonostante i tratti inquietanti della vicenda aumentino fotogramma dopo fotogramma. Per non parlare del finale, prevedibile sotto certi aspetti, ma anche fiacco al punto da non lasciare traccia di sé nella mente dello spettatore. Le tematiche che Bret Easton Ellis cerca di abbozzare nella sceneggiatura non risaltano affatto con chiarezza o non vengono sviluppate abbastanza: il voyeurismo e l’ossessione distruttiva per il sesso, l’assenza di privacy derivante da rapporti morbosi, ma anche la condanna nei confronti del predominio della tecnologia nella vita di tutti i giorni, esercitato tramite una presenza pervasiva di cellulari e profili Facebook che rischiano di rendere l’esistenza un’appendice svuotata di significato.

Il problema principale di “The Canyons” è che regista e sceneggiatore sembrerebbero credere che sia sufficiente dedicare una o due inquadrature a elementi simbolici, ai loro occhi, per delineare strutture portanti e temi del film. Queste immagini risultano sconnesse dal resto e quindi prive di simbolicità: non basta che i personaggi usino spesso il loro smartphone per farne derivare una denuncia sociologica sull’impero degli strumenti virtuali; non basta intervallare alla storia scene d’ambiente color seppia o in bianco e nero per creare un contrasto tra l’ambientazione della vicenda e la vita dei protagonisti.

Nelle intenzioni dello sceneggiatore infatti, “The Canyons” dovrebbe dare grande rilevanza al contesto, rilegato però a una serie di inquadrature esteticamente interessanti, ma fini a se stesse. La storia si volge alla periferia di Los Angeles, i cui abitanti millantano uno sfarzo tipico di Hollywood, ma sono in realtà circondati da negozi chiusi e strutture fatiscenti. Questo aspetto non viene portato avanti con coraggio, per cui contribuisce a rendere poco fluida e non lineare la regia di Paul Schrader, che indubbiamente tenta di dare al thriller un tocco di modernità avvalendosi di qualche vezzo stilistico.

La camera si concentra spesso e volentieri sui volti dei protagonisti che sembrano fissare negli occhi lo spettatore, coinvolgendolo nel dramma; è poi in grado di ‘ammiccare’, andare dove lo sguardo dei personaggi sta per dirigersi lanciando un messaggio, il più delle volte di tensione, anche sessuale.

L’unica cosa che rimane impressa, purtroppo però, è la pessima prova gli attori principali. Lindsay Lohan veste alla perfezione i panni della ragazza arricchita, oggetto del desiderio di molti e vittima dei giochi sessuali del compagno, ma la sua poca dimestichezza con una recitazione di qualità è indubbia. Tra l’altro il suo corpo non più fresco e il suo viso marchiato dal botulino non permettono allo spettatore di concentrarsi sull’interpretazione, poco convincente comunque. È bizzarra poi la scelta di aver dato uno dei ruoli principali a un pornoattore, James Deen, il cui nome tradisce di certo le aspettative. Per quanto si trovi a suo agio in una vicenda incentrata su qualche nudo e molto sesso (esibito o meno), James Deen non riesce a comportarsi da vero attore: il personaggio di Christian risulta più convincente come squallido seduttore, sexy e consapevole, ma non come uomo tenebroso e violento. Anche la recitazione di Nolan Funk, appena più esperto di James Deen, scorre via sullo schermo come se niente fosse, come se il suo Ryan non fosse presente nella storia. Non basta nemmeno affidare una piccolissima parte a Gus Van Sant per risollevare le sorti del cast.

Se la camera ammicca, lo fanno anche gli attori, quasi in modo fastidioso, lanciando sguardi languidi ed esibendo corpi più o meno degni di questo nome. Ma per essere attori bisogna soprattutto saper recitare. Lasciamo gli occhiolini ai pornoattori.

Irene Armaro

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