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State of Play – Recensione

Pellicola complottistica con Russel Crowe nei panni di un giornalista a caccia di scoop

Regia: Kevin MacDonald – Cast: Russell Crowe, Ben Affleck, Rachel McAdams, Jason Bateman, Robin Wright-Penn, Helen Mirrer – Genere: Thriller, colore, 118 minuti – Produzione: USA, 2009 – Distribuzione: Universal Picture – Data di uscita: 30 aprile 2009.

stae-of-playL’idea del complotto è stata una grande sorgente da cui Hollywood ha attinto nel corso del Novecento, grandi film politici inventati di sana pianta hanno fatto gridare allo scandalo internazionale tanta era la verosimiglianza dei temi trattati con la realtà. “State of Play” s’inserisce in questo filone con alcune interessanti varianti, a partire dallo sguardo diretto sull’intreccio non da parte del detective di turno, ma da un reporter d’assalto alla “Rapporto Pelican”.

L’eterno scontro verità-notizia, più longeva del duello tra il bene e il male, trova il suo naturale sbocco in questo incalzante thriller firmato da Kevin MacDonald, insieme a Tony Gilroy (qui sceneggiatore), capostipite di una nuova e talentuosa generazione di autori registi. Il mastino Russell Crowe, voce profonda e sguardo brillante (pur nell’aspetto trasandato da casting), è un giornalista del Washington Globe che ha appena annusato la sua succulenta notizia, in cui casualmente è defilato protagonista: coinvolge infatti il suo amico di college ed ora deputato statunitense Stephen Collins (mister mascellone Ben Affleck). Dopo la morte della sua amante, il membro del congresso viene aiutato dal reporter a risolvere la matassa, che vede connessi complotti legati alla PointCorp, multinazionale paramilitare senza scrupoli. Detto così sembra anche banale, ma “State of Play”, basato sulla serie della BBC Television creata da Paul Abbott, è un film solido e appassionato, che contorna di un ottimo supporting cast il Russell Crowe, già calato nelle vesti di Robin Hood, il quale si diletta in duetti verbali con la grande Helen Mirren e con l’affascinante moglie di Collins, Robin Wright Penn.

Il tema così visceralmente affrontato sino ai titoli di coda è il quarto potere in tutta la sua essenza, il vero lavoro d’inchiesta del giornalista determinato a scovare la verità-notizia, a tal punto da scavare più a fondo della polizia in una vicenda di proporzioni nazionali. Dove ovviamente possibile, cioè nel paese a stelle e strisce, è agendo ai confini della legalità e dell’evidenza delle prove, scelta dopo scelta, arrivando all’ovvio dilemma tra l’etica del buon senso e lo scoop da prima pagina.

Ma “State of Play” è anche di più, diffonde un moralismo spicciolo che fa bene alla quotidianità, propone un gioco dei grandi che alza un polverone su quanti pseudo complotti e macchinazioni vere e proprie vengono giornalmente sommerse da un mare di sabbia e omertà, pratica in cui altre nazioni (e qui il titolo potrebbe essere un riferimento generico) si dilettano da anni, salvaguardando sempre e comunque la propria facciata pubblica. MacDonald e Gilroy arrivano proprio a far riflettere su questo, gettando un pizzico di brio e humour sulla pellicola, godibile anche se troppo distante dal veleno sputato in diretta tv in “Quinto Potere”.

Uno stile meno sfarzoso, ma comunque coraggioso per una grande produzione hollywoodiana, dedicato a quelli della nostra categoria che affollano le conferenze stampa coi buffet, tralasciando le piste che portano alle vere notizie, quelle scomode ma di cui certamente si sente la necessità di raccontare.

Simone Bracci

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