Eco Del Cinema

Se Dio vuole – Recensione

Temi cruciali toccati con leggerezza nella commedia d’esordio di Edoardo Falcone

Regia: Edoardo Falcone – Cast: Marco Giallini, Alessandro Gassmann, Laura Morante, Ilaria Spada, Edoardo Pesce – Genere: Commedia, colore, 87 minuti – Produzione: Italia, 2015 – Data di uscita: 9 aprile 2015.

se-dio-vuoleIl tentativo portato avanti da “Se Dio vuole” è quello di inserirsi nel solco – ancora tutto da scavare – della nuova commedia italiana, sul modello inaugurato lo scorso anno da “Smetto quando voglio” di Sidney Sibilia. Registi giovani, sceneggiature fresche e intelligenti, tentativi di rinnovare lo spirito comico affiancandolo a tematiche di primo rilievo socio-culturale trattate quanto più possibile con velato disimpegno, distacco critico e programmatica superficialità.

Protagonisti della narrazione sono un cardiochirurgo freddo e professionale (Marco Giallini) e un improvvisato sacerdote da strada in cerca di riscatto dopo un trascorso in galera (Alessandro Gassmann; per inciso: il nome del suo personaggio, Pietro Pellegrini, è un omaggio all’Aldo Fabrizi di “Roma città aperta”). Attorno alla loro relazione ambigua e in costante fermento si innesta una girandola di accadimenti: il motore della vicenda è la scoperta della vocazione del figlio del cardiochirurgo, convinto da uno degli originali sermoni del prete; allo scopo di impedire che il figlio segua questa strada, il dottore vuole entrare a tutti i costi in contatto con il responsabile, con l’intenzione di dimostrarne la non attendibilità. Qui si avvia una serie di camuffamenti ed equivoci che portano al non scontato dipanarsi della trama. Un’apertura corale è data dall’inserimento di una serie di personaggi di contorno che determinano, sulla base di alleanze, crisi e fraintendimenti, il percorso dei protagonisti; in primis la famiglia del cardiochirurgo, composta da una serie di personaggi ben caratterizzati mediante poche incisive pennellate e portati inevitabilmente – secondo uno schema funzionale al lato comico del racconto – a una polarizzazione superficiale piuttosto accentuata: una moglie (Laura Morante) stanca di essere ignorata e animata dal desiderio di riscuotersi mediante un improvvisato ritorno agli ardori sessantottini della gioventù; una coppia di pressoché perfetti idioti composta dalla figlia e da suo marito; la donna delle pulizie straniera con il suo pragmatico distacco; il ragazzo la cui repentina “conversione” fa da pretesto scatenante per la messa in moto delle sequenze narrative.

Dietro la patina della commedia, con tutti i vincoli strutturali connessi al genere, emerge una sensibilità verso tematiche fondamentali della società italiana del terzo millennio: il rapporto con la fede religiosa, l’omosessualità, l’istituzione familiare. Il poliprospettivismo su cui si basa la narrazione impedisce di relegare un messaggio univoco, una morale di fondo, e questo di per sé può essere assurto a pregio particolare del film: se da un lato c’è un uomo di scienza che più volte ribadisce la sua esplicita avversione alla chiesa, dall’altro c’è un ex galeotto che ha trovato nella fede e nella diffusione della parola evangelica la sua ragion d’essere, nonostante i modi e i contenuti delle sue prediche siano più vicini al panteismo spinoziano che al dogmatismo cattolico; sullo sfondo i due figli del medico: un ragazzo insicuro, conteso tra due poli, e una giovane acritica, imbevuta di cultura consumistica eppure tanto vuota dentro da avere il desiderio di essere toccata da qualcosa, che sia la parola divina o il reality-show di turno.

Alla moglie è affidata l’altra tematica di fondo, quella della dinamica familiare borghese decostruita a partire dall’incomunicabilità (alla Antonioni) che la permea e ne caratterizza la stanca sopravvivenza, legata più a insicurezza e assuefazione che a un reale slancio vitale.

Si tratta dell’esordio da regista per Edoardo Falcone, che mostra subito autorevolezza nel ritmo spedito e tambureggiante con il quale la trama si evolve e si dipana in una serie di ribaltamenti prospettici e piroette narrative. Il taglio delle scene sembra a tratti procedere per sottrazione: eliminato il superfluo, a risaltare è il puro contenuto della vicenda, in sé piena e sufficiente a garantire un grado di coinvolgimento sempre piuttosto elevato.

Marco Donati

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