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Room – Recensione

  • Regia: Lenny Abrahamson
  • Cast: Brie Larson, Megan Park, William H. Macy, Jacob Tremblay, Joan Allen
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 118 minuti
  • Produzione: Irlanda, 2015
  • Distribuzioni: Universal Pictures
  • Data di uscita: 3 marzo 2016

“Room”: la favola nera claustrofobica di un giovane regista di talento

room

Vincitore del premio del pubblico all’ultimo Festival di Toronto, “Room”, dal regista irlandese Lenny Abrahamson racconta la storia di una giovane donna e suo figlio di cinque anni che vivono, in apparente tranquillità, in una minuscola stanza illuminata solo da un lucernario.

Le giornate scorrono serene tra torte di compleanno fatte insieme e piccoli giochi costruiti con quello che hanno a disposizione, come i gusci delle uova. Certo è che qualcosa che non va c’è.

Il bambino dorme in un armadio e di tanto in tanto appare un uomo misterioso che abusa di sua madre; tutto mentre la televisione sempre accesa è l’unica finestra sul mondo. Si scoprirà che Ma, come la chiama il piccolo, è stata rapita da un bruto a diciassette anni che la tiene segregata da allora nello stretto microcosmo che loro chiamano “stanza”.

Tratto da un best seller irlandese/canadese “Room” ricorda molti fatti realmente accaduti in questi anni

Il regista sin dalle prime inquadrature riesce a far piombare lo spettatore in un incubo. Non sono chiare subito le ragioni per cui i due sono chiusi in quel posto e per il piccolo il mondo fuori sembra non esistere affatto. Appaiono come una cosa sola nella sua mente i cartoon che può vedere in televisione e le fantasie su alieni, mostri vari e topi veri.

Tutto si chiarisce pian piano con un’ascesa graduale del pathos che raggiunge il suo apice nei momenti tragici come la fuga di Jack e del successivo salvataggio della madre Joy. Inizia, a questo punto, la seconda parte dell’opera che è considerabile come un film a sé.

Jack e Joy, liberi, tornano dalla madre di quest’ultima costretti ad affrontare una realtà che è forse anche più dura di quella che vivevano nella “stanza”. I giornalisti sono sempre sulla soglia di casa, i genitori di lei si sono separati e il padre si rifiuta di riconoscere in quel bambino spaurito suo nipote. Il cerchio si chiuderà con l’addio alla “stanza” e l’inizio di una nuova vita.

L’opera di Abrahamson si presenta ricca di simboli psicoanalitici, uno tra tutti il taglio dei capelli del protagonista come atto catartico per un nuovo inizio. La sceneggiatura è brillante soprattutto per ciò che riguarda i pensieri di Jack, leggeri e tristi allo stesso tempo. Gli interpreti sono eccellenti, dal piccolo Jacob Tremblay alla sua mamma Brie Larson, uniti in una alchimia magica.
Tuttavia il film è sbilanciato nelle due parti. Tanto è rigorosa e pulita la prima, quella della prigionia, tanto è lenta e ridondante la seconda. “Room”, però, conferma il talento di un giovane regista di cui sentiremo ancora parlare, capace di far recitare un bambino senza sbavature, cosa non facile per i più.

Ivana Faranda

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