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Roger Waters – The Wall – Recensione

  • Regia: Roger Waters, Sean Evans
  • Genere: Evento, colore, 155 minuti
  • Produzione: USA 2015
  • Distribuzione: Nexo
  • Data di uscita: 29 settembre 2015

“Roger Waters – The Wall”: dal palco allo schermo, un tripudio visivo e sonoro

roger.waters.the.wallNel dominio atmosferico pressoché assoluto della musica di “The Wall”, intramontabile capolavoro della produzione dei Pink Floyd datato 1979, Roger Waters propone una narrazione lirica del tutto peculiare: attorno alla riproposizione di suggestive immagini tratte dal suo tour del 2013 in luoghi diversi – perno centrale del film – convergono due linee direttrici, una tesa a distillare una sorta di road movie tutto incentrato sullo stesso Waters e sulla sua intima riscoperta di sé attraverso la commemorazione del padre, l’altra costituita da un messaggio pacifista efficace nella sua schietta semplicità.

La straripante visionarietà della messa in scena che caratterizza il live di Waters – nel solco della tradizionale potenza spettacolarizzante dei concerti dei Pink Floyd, implementata dalla tecnologia attuale – si presta alla rappresentazione cinematografica: al muro che si fa e si disfa, al maiale nero volante, all’aeroplano che si schianta a terra e alla proiezione progressiva di immagini di repertorio e costruzioni surrealiste si accompagna alternativamente la focalizzazione su un pubblico sterminato e in costante visibilio.

“Roger Waters – The Wall”: il muro come autobiografia

Nella scrittura di “The Wall”, complessa opera rock che mette in musica i turbamenti esistenziali e le reminiscenze profonde del personaggio fittizio di Pink, è forte la componente autobiografica relativa all’esperienza di vita di Waters, principale compositore dell’album. Il muro, con l’isolamento forzato che ne deriva, è la reazione individuale a una tragedia in perpetuo svolgimento, resa emblematica in alcuni aspetti significativi: la morte del padre nello sbarco di Anzio, durante la seconda guerra mondiale; la cura iperprotettiva dedicatagli dalla madre; la disumanizzazione dei metodi scolastici, omologanti e repressivi; la follia alienante della vita da rockstar.

Questo aspetto autobiografico è qui implementato dai momenti di vita vissuta del protagonista, che non ha nessun timore a mettersi in gioco in prima persona: l’effetto è purtroppo attutito da un esibizionismo forse eccessivo, che non riesce in alcuni frangenti ad evitare la caduta in accessi retorici persino stucchevoli. L’automobile che vaga nei boschi francesi, la visita al monumento ai caduti di Cassino, la passeggiata sulla riva del mare di Anzio: una serie di immagini godibili ma scontate, che nulla aggiungono alla potenza artistica del concerto e che anzi rischiano di diluirne l’effetto; in sostanza, la riproposizione in forma cinematografica dell’evento musicale nella sua autonomia, con la sua meravigliosa messa in scena, sarebbe stata sufficiente: il film rischia di cadere proprio nella ridondanza, nel voler patinare con del lirismo narrativo una rappresentazione che nella sua complessità è già di per sé molto efficace.

In appendice un incontro tra Roger Waters e Nick Mason, batterista della formazione storica dei Pink Floyd, il cui titolo italiano, “La nuda verità”, è lievemente mistificatorio: i due ridono e scherzano leggendo le lettere dei fan, ma al di là delle battute di circostanza evitano di affrontare seriamente le ragioni del dissidio che ha portato al progressivo disfacimento della band. Poco male, in questo senso: i fatti sono già passati alla storia; ciò che rimane – intangibile, incontaminata e sempre straordinariamente attuale – è l’immensità dell’opera musicale dei Pink Floyd.

Marco Donati

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