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Noah – Recensione

Noah: un film non all’altezza del suo regista

Regia: Darren Aronofsky – Cast: Russell Crowe, Jennifer Connelly, Logan Lerman, Douglas Booth, Emma Watson – Genere: Drammatico, colore, 138 minuti – Produzione: USA, 2014 – Distribuzione: Universal Pictures – Data di uscita: 10 aprile 2014.

noah-locCome molti sapranno i due marchi di fabbrica di Darren Aronofsky, il talentuoso regista di questo film, sono un costante senso di tragedia imminente che soggiace costantemente alla narrazione, e, parallelamente, il fatto che questo senso venga espresso attraverso gli stati psicologici dei protagonisti. Considerando ciò, è facile capire cosa della celebre vicenda di Noè possa aver attratto il regista newyorkese: quale narrazione può essere più pervasa da un senso di tragedia imminente e ineluttabile di quella del diluvio universale?

Il problema è che la storia del Diluvio Universale e dell’Arca di Noè non è un qualcosa di cui un autore può pensare di fare una rivisitazione, nel momento in cui riscontra in essa un elemento affine ai suoi interessi; è pur sempre l’Antico Testamento, mica un romanzo o una pièce teatrale, non concede, almeno dal punto di vista narrativo, tutte le libertà che si è preso Aronofsky.

Al di là delle numerose inesattezze, i personaggi sono caratterizzati in maniera alquanto impropria. Soprattutto Noè, e poi gli altri protagonisti  del film – che nella storia originale sono solide istanze religiose, ognuna delle quali atta ad esprimere un singolo tratto umano – vengono caricati di un’umanità completa, capace di sentire su di sé il peso della tragedia e di avere un crollo psicologico.

È come se Aronofsky si fosse chiesto il modo in cui un uomo concreto, in carne ed ossa, avrebbe reagito a un compito così gravoso come quello affidato da Dio a Noè, ma è veramente difficile trovare di qualche interesse la risposta a questa domanda. Inoltre, questo sovrappiù di umanità concesso ai personaggi tradisce la storia, oltre che a livello narrativo, anche a livello semantico. Esso, infatti, dà a questa narrazione veterotestamentaria, che è quindi inserita nelle scritture di un Dio severo e castigatore, una curvatura che la rende molto più cristiana, visto il fondamentale trionfo di amore, pietà e perdono come valori umani più alti che, tra l’altro, fa sembrare il film firmato da un altro autore.

La personalità del regista si avverte poco, anche perché prova a ricavarsi spazi dove non ci sarebbero. Alla fine, quindi, quel climax ascendente tragico, capace di coinvolgere nella sua ascesa, al quale ci avevano abituato le sue precedenti pellicole, in questo film è mal dosato, mal posto, e non funziona.

Claudio Di Paola

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