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Lucifer – Recensione

“Lucifer”, un’opera complessa liberamente ispirata alla Divina Commedia

Regia: Gust Van den Berghe – Cast: Gabino Rodriguez, Norma Pablo, Toral Acosta, Jerónimo Soto Bravo, Sergio Lazaro Cortéz – Genere: Fantastico, colore, 110 minuti – Produzione: Usa, 2014.

Chiude una trilogia iniziata con “Little Baby Jesus of Flandr” e “Blue Bird”, “Lucifer”, ultimo lavoro del giovane regista belga Gust Van Den Berghe, presentato al Festival Internazionale del Film di Roma 2014.

La prima cosa che colpisce in “Lucifer” è il singolare modo di ripresa in Tondoscope dall’inizio alla fine. Questo sistema fa si che lo spettatore guardi l’immagine attraverso un buco, quasi come se osservasse da una serratura.

Sotto le mentite spoglie di pellegrino e guaritore, l’angelo caduto Lucifer entra nella vita della strana famiglia di Lupita, che divide una grama esistenza con la nipote Maria e il fratello finto paralitico Emanuel. Tutto intorno un megafono annuncia che c’è una scala infinita che va verso il cielo che nessuno riesce a vedere.

La giovane Maria darà alla luce un bambino dopo esser stata sedotta da Lucifer, che sparisce nel nulla. Il prete del paese costruirà una torre che va verso il cielo con intenti molto poco spirituali e Lupita andrà verso la morte sul fiume Acheronte, dopo essere stata rifiutata da tutto il villaggio.

Il senso di “Lucifer” non va cercato nella storia che racconta ma nei tanti simboli che contiene, più o meno comprensibili.

Bella l’ambientazione, un Messico rurale che sembra fermo al medioevo, popolato da facce assolutamente originali.

Tutti gli attori, tranne un paio, sono persone del posto e questo ci riconduce in qualche modo al “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini e sempre del regista friulano viene in mente “Uccellacci e uccellini” per la notevole somiglianza di Lucifero/Gabino Rodriguez con Totò/Frate Ciccillo.

Sembra che il regista si sia ispirato alle opere dell’artista olandese Hieronymous Bosh, che nei suoi dipinti metteva in scena la caduta dell’essere umano nel vizio, da cui ci si può riscattare solo attraverso le pene patite dal Cristo. Non a caso il film è diviso in tre atti: paradiso, peccato, miracolo.

Nonostante gli ottimi spunti il film risulta ostico; cinema per pochi per via delle troppe citazioni colte di non facile lettura, interessante tuttavia per la sua originalità.

Ivana Faranda

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