Eco Del Cinema

L’ospite inatteso – Recensione

Un dramma delicato sull’immigrazione in America

(The Visitor) Regia: Tom McCarthy – Cast: Richard Jenkis, Hiam Abbass, Haaz Sleiman, Danai Gurita, Maggie Moore, Michael Cumpsty, Bill McHenry, Richard Kind, Tzahi Moskovitz, Amir Arison, Neal Lerner, Ramon Fernandez, Frank Pando, Waleed Zuaiter – Produzione: USA, 2007 – Distribuzione: Bolero Film – Data di uscita: 5 dicembre 2008.

l-ospite-inattesoVincitore a Deuville e presentato con un grande consenso di pubblico e critica al Sundance Film Festival, “L’ospite inatteso” ha ottenuto dei buoni risultati anche al botteghino USA ad aprile 2008. Attraverso le emozioni ed i sentimenti di quattro personaggi il regista Tom McCarthy (già vincitore del Sundance con “The Station”) racconta il dramma dell’immigrazione sullo sfondo di una New York triste e cupa che rispecchia ottimamente l’attuale crisi della società americana.

Protagonista è lo stanco e disincantato professore universitario Walter Vale (Richard Jenkis) che, recatosi a New York per la presentazione di un articolo scientifico, scopre che la sua vecchia casa è abitata da una coppia di immigrati clandestini, il musicista siriano Tarek (Haaz Sleiman) e la senegalese creatrice di collane Zainab (Danai Gurira), truffati da un agente immobiliare.

Dopo l’iniziale sorpresa e reazione, complice la passione per la musica dei due uomini, tra i tre nascerà un rapporto di intensa amicizia e di reciproco arricchimento. Proprio la musica, onnipresente all’interno della pellicola come collante tra culture, aiuterà il professor Vale a ritrovare la gioia per la vita risvegliandolo dall’apatia in cui era caduto dopo la morte della moglie pianista. Ma le emozioni “esplodono” quando Tarek viene arrestato in metropolitana a causa di un banale disguido e rinchiuso in un centro per immigrati clandestini in attesa di espulsione.

Vale si troverà così catapultato inaspettatamente ma consapevolmente in un mondo a lui sconosciuto, fatto di regole apparentemente incomprensibili, stretto tra la voglia di salvare l’amico e l’indifferenza e rassegnazione che traspare dagli sguardi delle persone coinvolte. L’arrivo della madre di Tarek, Mouna (la bravissima Hiam Abbas), a New York per assistere da vicino il figlio e permettere al professor Vale di riscoprire l’amore come piacere di una vita fatta di piccole quotidianità e grandi emozioni vissute insieme, non farà che ampliare l’intensità e la drammaticità della situazione. Quella formatasi potrebbe essere una perfetta famiglia americana, orgoglio di quel sogno che è l’emblema degli Stati Uniti se non fosse per un basilare vizio di forma.

Un finale tutt’altro che scontato lascia quindi lo spettatore solo con se stesso a riflettere sulla vita, sui sentimenti e sull’amore. Un film garbato, quasi sussurrato, che tratta il problema dell’immigrazione in maniera diversa. Non c’è solo denuncia o rabbia, non è la semplice condanna di un sistema (che anzi in molte occasioni viene quasi giustificato e compreso), ma è un viaggio attraverso l’anima dei protagonisti.

Uno straordinario affresco di una gigantesca questione fatto attraverso una piccola storia e “raccontato” da persone normali. Perfetta la colonna sonora, un mix tra ritmi tribali afroasiatici e musica classica, a sottolineare ancora una volta che questa non è la storia di un immigrato ma di un americano con tutte le sue complessità e diversità. Film da non perdere, sperando che vista la data d’uscita (5 dicembre) non venga relegato dalla grande distribuzione in un circuito di nicchia schiacciato dai cinepanettoni.

Tommaso Francini

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