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Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato – Recensione

L’attesa è finita, l’Anello è tornato, e con esso tutto il fascino del mondo creato da Tolkien, in un film dove il tempo scorre veloce fino ai titoli di coda, lasciando incredulo lo spettatore sul fatto che siano effettivamente trascorsi i promessi 173 minuti

(The Hobbit: An Unexpected Journey) Regia: Peter Jackson – Cast: Martin Freeman, Richard Armitage, Aidan Turner, Hugo Weaving, Stephen Fry, Ryan Gage, Conan Stevens, Orlando Bloom, Evangeline Lilly, Benedict Cumberbatch, Robert Kazinsky, Graham McTavish, Stephen Hunter, Mark Hadlow, Peter Hambleton, Sylvester McCoy, James Nesbitt, Adam Brown, Ian McKellen, Elijah Wood, Cate Blanchett, Andy Serkis, Christopher Lee, Ken Stott, Mikael Persbrandt, Jed Brophy, William Kircher, John Callen, Mike Mizrahi – Genere: Fantastico, colore, 164 minuti – Produzione: USA, Nuova Zelanda, 2012 – Distribuzione: Warner Bros Italia – Data di uscita: 13 dicembre 2012.

lo-hobbit-un-viaggio-inaspettatoSi spengono le luci, si trattiene il respiro e in pochi secondi ci si immerge nel mondo di Tolkien, visto con gli occhi di Peter Jackson; ritroviamo i paesaggi mozzafiato della Nuova Zelanda che hanno fatto da cornice alla ‘Trilogia dell’anello’ e il cuore ha un sobbalzo quando le immagini ci riportano a casa di Bilbo Baggins, la sera del suo 111° compleanno.

Le sue chiacchiere con Frodo riportano alla mente dello spettatore tante emozioni, e lo ricongiungono immediatamente a quel mondo fantastico, fatto di magici anelli, orchi e stregoni, uomini e nani, gioia e diletto dei tanti fan di Toilkien sparsi nel mondo.

E’ chiaro sin dalle prime immagini che il film è tecnicamente eccelso, l’HFR 3D (un 3D ad alta frequenza di fotogrammi, ben 48 al secondo, contro i 24 tradizionali) è strepitoso, la visione è avvolgente e molto più simile a ciò che l’occhio umano percepisce per sua natura.

Qui non si tratta di aver immagini più profonde, ma di avere quasi la sensazione di partecipare all’azione: in alcune scene i protagonisti del racconto sembrano spuntare dalle spalle dello spettatore, dando una sensazione di ‘rotondità’ visiva in chi guarda.

Le immagini sono veramente nitide, ma non artificiali, liberando la pellicola da quella sensazione di innaturalezza che accompagna tanti film in digitale.Riguardo la narrazione, a differenza della ‘Trilogia dell’anello’, dove Jackson ha dovuto spesso limare il testo di Tolkien per esigenze cinematografiche, qui il regista si abbandona completamente al racconto con una dovizia di dettagli che non lascia grandi interrogativi neppure allo spettatore digiuno del testo letterario, che vede sanare immediatamente, con l’evolversi delle vicende, eventuali dubbi o perplessità.

Come già detto ci ritroviamo a casa Baggins, durante i preparativi per i festeggiamenti del compleanno di Bilbo, poco prima dell’incipit de ‘Il Signore degli Anelli’. L’anziano Hobbit sta mettendo nero su bianco per Frodo i ricordi di una vita, specialmente della sua giovinezza quando, seppur titubante, viene coinvolto in un avventura che gli cambierà per sempre la vita: raggiungere la Montagna Solitaria dove vive il perfido drago Smaug, per aiutare un gruppo di nani a riconquistare il proprio regno, aiutati nell’ardua impresa da Gandaf, lo stregone.

Il quadro delle vicende è ricco, i personaggi sono indagati nel profondo, e le scene di lotta sono frenetiche e senza sosta, in un crescendo di difficoltà paragonabile a quello dei livelli successivi di un videogioco.

Anche qui c’è una sorta di compagnia, formata da nani, cui si uniscono Gandalf e Bilbo, che di certo non è quella dell’Anello, ma si fa conoscere e apprezzare, mostrando abilità e limiti di ciascuno.

Indubbiamente in qualche scena si immagina di vedere l’affascinate Aragorn a cavallo, o Frodo e Sam che s’avventurano per montagne impervie, ma Gollum c’è, e c’è il suo incontro con Bilbo e la dolorosa perdita dell’anello: il necessario cambio di protagonisti niente leva alla godibilità di questo ‘viaggio inaspettato’.

In un cast di prim’ordine, che propone anche un nuovo eroe senza macchia ne paura, Thorin Scudodiquercia, interpretato dall’affascinante Richard Armitage, dove nulla si può aggiungere sulla risaputa bravura di McKellen e Lee, un commento a parte merita l’interpretazione di Martin Freeman, che incarna alla perfezione Bilbo giovane, finora solo immaginato, che titubante lascia il conforto e il calore della sua dimora per affrontare il mondo reale e pericoloso, lontano dalla pace che regna nell’amata Contea.

Bilbo, come nella saga precedente Frodo, incarna il travaglio umano di molti di noi, divisi tra il desiderio di una vita senza problemi e un innato desiderio d’avventura e di gesta eroiche, che lascino il nostro nome inciso a lettere d’oro nel grande libro della vita.

“Lo Hobbit” porta sullo schermo l’eterna lotta tra bene e male che tanto affascina da sempre gli spettatori di ogni dove, e che Tolkien ha ben descritto nei suoi libri, raccontando attraverso il fantasy problematiche universali.

Ora non ci resta che attendere il secondo capitolo di questa nuova trilogia, ma non senza fare un piccolo inciso: è inconfutabile il fatto che la pellicola perda col doppiaggio italiano rispetto alla versione originale, ma non si capisce come si sia potuto aggravare il danno scegliendo per Gandalf, in sostituzione del compianto Gianni Musy, la voce di Gigi Proietti che chi scrive stima dal profondo.

Il suo ammaliante eloquio è troppo legata alla sua immagine d’artista, alla sua carriera, in alcuni momenti nel sentire l’anziano stregone barbuto ritorna alla mente l’esilarante gag in cui l’attore da vita ad un nonno ‘rinco’ che racconta le favole al nipotino confondendo le storie e mischiandole tra loro, e il vecchio stregone perde un po’ di credibilità.

Maria Grazia Bosu

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