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Lettere di uno sconosciuto – Recensione

La questione della memoria e l’analisi profonda di una dinamica familiare

(Coming Home) Regia: Zhang Yimou – Cast: Gong Li, Dao Ming Chen, Huiwen Zhang, Guo Tao, Peiqi Liu – Genere: Drammatico, colore, 111 minuti – Produzione: Cina, 2014 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: 26 marzo 2015.

lettere-di-uno-sconosciutoUn vuoto è il centro strutturale di “Lettere di uno sconosciuto”, ultima fatica del regista cinese Zhang Yimou. Un vuoto che si declina in due direzioni, l’una complementare all’altra nel corso dello sviluppo narrativo: nella prima parte la latitanza di Lu Yanshi, oppositore politico cercato e infine catturato dalla polizia cinese; nella seconda l’amnesia mnemonica di Feng Wanyu, donna provata da un amore reso impossibile da ragioni di maggiore forza politica.

Il contesto ambientale è quello della Cina di fine anni Sessanta, a cavallo della Rivoluzione Culturale portata avanti con violenta risoluzione da Mao Tse-Tung. L’impatto esterno delle dinamiche socio-politiche si abbatte crudelmente su una famiglia solidamente unita: la fuga forzata di Lu, denunciato alle autorità pubbliche dalla figlia – aspirante ballerina fedele al partito – incrina la situazione fino a un punto di non ritorno: Feng, insegnante dai modi temperati, non regge alla durissime prove degli interrogatori violenti e della successiva cattura del marito, e in seguito a una caduta accidentale finisce per perdere la memoria. Quando Lu torna, avvantaggiandosi di un’amnistia concessa negli ultimi giorni della Rivoluzione Culturale, lei non è più in grado di riconoscerlo: un ribaltamento prospettico, dunque, è il nesso che regge saldamente la complementarità dei due vuoti strutturali della narrazione.

Una forma di riunione c’è, eppure la perdita di memoria della donna rende questa situazione monca, insanabilmente lacunosa: l’uomo riceve la libertà, eppure l’occasione di un nuovo inizio è frustrata dall’incapacità della moglie di riconoscerlo, sebbene lui si ingegni in ogni modo spacciandosi di volta in volta per buon vicino o amico di buon cuore che ha la pazienza di leggerle le lettere (scritte da lui stesso durante la prigionia), in uno straniante sdoppiamento di sé; la figlia, pentita dell’ortodossia al partito, riceve da un lato una redenzione, con il ritorno del padre da lei stessa denunciato, dall’altro una nuova punizione, con l’integrità psico-fisica della madre compromessa in via irreversibile. Padre e figlia arrivano congiuntamente alla maturazione di un nuovo inizio, prendendo passo dopo passo coscienza della irrimediabilità della situazione prospettata; questo processo comporta ulteriori perdite da una parte e dell’altra: se l’uomo è condannato all’isolamento e alla rievocazione nostalgica di ciò che era prima della sua prigionia, la ragazza vede frustrate le sue ambizioni di diventare ballerina professionista, impiegandosi in una fabbrica tessile.

La questione della memoria è centrale nello svolgimento narrativo, e scandisce effettivamente l’altalena emotiva che permea le relazioni tra i personaggi: la lettura dell’intero epistolario spedito dalla prigionia produce straniamento non solo nell’intimità di Lu che si presta a questo servizio, ma anche, a un livello più oggettivo, in tutto il contesto familiare che fa da sfondo, prestato a una esplicita messinscena di sé stesso nel suo disfunzionamento ormai irrecuperabile.

Con la sua andatura lenta e a tratti lirica il film riesce a raggiungere picchi di intensità rilevanti, anche grazie alle interpretazioni di spessore fornite da Chen Daoming (Lu) e soprattutto Gong Li (Chen): il ripiegamento sul nucleo fondamentale dei protagonisti relega sullo sfondo i soprusi subiti dall’ambiente politico, che pure sono motore dell’intera vicenda, in uno studio protratto e profondo della fragilità umana, sul doppio versante dialettico dell’interiorizzazione e della relazione.

Marco Donati

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