Eco Del Cinema

Largo Baracche – Recensione

“Largo Baracche” di Gaetano Di Vaio un viaggio senza filtri nel microcosmo dei Quartieri Spagnoli

Regia:Gaetano Di Vaio – Genere: Documentario, colore, 65 minuti – Produzione: Italia, 2013.

largo-baraccheLa città di Napoli è stata raccontata molto spesso dal cinema e dalla fiction nel suo lato più oscuro. Non è il caso di “Largo Baracche”, documentario di Gaetano Di Vaio presentato al Festival Internazionale del Film di Roma.

L’ex delinquente, diventato prima attore, poi regista e infine produttore ci conduce nel cuore della città, nei quartieri spagnoli. Nati nel XVI secolo per ospitare le guarnigioni militari spagnole e diventati subito luogo malfamato, lo sono ancora. Eppure, Di Vaio, che nel suo film ci mette la faccia e li racconta in una chiave diversa. E lo fa con le storie di Carmine, Gennaro, Gianni, Mariano, Giuseppe e Antonio, una batteria che non fa rapine o altro. Anzi, insieme lottano per un futuro migliore nonostante le difficoltà che incontrano quotidianamente. Nei loro visi e nelle loro parole c’è tutta la “meglio gioventù” di Napoli.

Diviso in micro capitoli, il documentario è uno straordinario documento su una zona della città, dove i turisti non vanno, anche se tanto vicina al centro. Giovanni per esempio è figlio del boss “in pensione” Mario Savio detto “’o bellillo”, che senza pentirsi ha rinnegato il suo passato criminale dopo aver passato gran parte della sua vita in carcere. Dopo varie traversie, lui adesso è agli arresti domiciliari accusato di estorsione aggravata da finalità camorristiche. La sua vita viene raccontata al figlio, che non l’ha visto quasi mai, da “Zio Tyson”, ex pugile ed ex killer, che lavorava per il padre. I protagonisti, tutti giovanissimi cercano di scappare dai quartieri. Eppure li amano in un qualche modo, con i loro vicoli stretti e la variegata umanità che ci abita.

Tutto girato con camera a spalla, “Largo Baracche” sembra essere stato un viaggio nel tempo per il regista, che si rivede in loro. Di Vaio è riuscito a raccontare un mondo quasi metafisico, senza filtri con una regia minimale. C’è molta poesia in questo documentario che conferma ancora una volta la validità del genere.

Questo film racconta Napoli senza stereotipi e senza dare giudizi, molto meglio di “Gomorra”. Un film bello che meriterebbe un passaggio televisivo molto più della fiction di Sollima.

Ivana Faranda

Articoli correlati

Condividi