Eco Del Cinema

La pecora nera – Recensione

Ascanio Celestini porta sullo schermo una storia disperata e profonda sulla malattia mentale

Regia: Ascanio Celestini – Cast: Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Nicola Rignanese, Barbara Valmorin, Luigi Fedele, Alessia Berardi, Alessandro Marverti, Mauro Marchetti – Genere: Drammatico, colore, 93 minuti – Produzione: Italia, 2010 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 1 ottobre 2010.

lapecoraneraDopo aver trascorso trentacinque anni di vita in un manicomio, o meglio in un “condominio di santi” come lo ha soprannominato Nicola, se “matti” non lo si era, è facile lo si diventi; e forse anche un po’ santi, perché qualche genere di miracolo si riesce a compierlo. Infatti benché non si apprenda l’arte di risuscitare i morti, sono i vivi che si riesce a far “tornare alla vita”, liberandoli da quelle angosce che premono sul petto più delle lapidi sepolcrali, affrancandoli dal carico di tristezze ed amarezze che si pensa possano esser rinchiuse assieme ai malati dietro le due porte di sicurezza del manicomio.

E così Nicola (Ascanio Celestini), lui che non temeva nulla, nemmeno di mangiarsi i ragni, sin da piccolo si è sobbarcato delle paure e dell’infelicità di tutta la sua famiglia, a partire dal muto dolore di quella nonna che con le sue calze pesanti era vecchia da sempre, fino al rabbioso risentimento che impediva al padre di mostrare il proprio sotterrato affetto anche nell’unico gesto amorevole, in quel cremino regalato al figlio una volta l’anno. Ma alla fine da quelle paure ne è stato sommerso: la paura della responsabilità e della colpa, la paura dell’incapacità ed inadeguatezza, la paura della solitudine e della non-accettazione, la paura di non riuscire ad esser amati.

Per fuggire quella paura che è la vera malattia, ogni rifugio è accettabile, anche quel manicomio in cui sin da bambino andava a trovare, portando assieme alla nonna le uova fresche alla suora, la sua mamma, una donna rasata con la faccia giallastra ed inespressiva a cui non aveva la forza di avvicinarsi. Ed in quel mondo, separato da un alto cancello di ferro dal resto della società, sembra permesso costruirsi un’ulteriore schermo protettivo creandosi una “propria realtà”, in cui tutto deve essere compulsivamente in ordine così da non lasciar spazio al disordine della testa, in cui le donne si possono clonare in modo da averne sempre una disponibile per essere leccati come gli uomini delle riviste e non doversi scontrare con un rifiuto.

Ascanio Celestini, dopo tre anni di preparazione passati a stretto contatto con la realtà della malattia mentale, ne dipinge con singolare penetrazione i labirintici meandri, non fermandosi ad una pellicola d’indagine e denuncia sulla condizione di cura e degenza negli ospedali psichiatrici italiani, ma impersonando la storia, sia concreta che psichica, di uno di quei “santi matti”; di un uomo che non è riuscito (o non ha voluto) entrare in quell’agghiacciante mondo “normale”, emblematicamente raffigurato dall’assurdo ed estraniante orizzonte del supermercato, in cui tutta la sovraesposizione della merce convive con il divieto di poterne godere.

Un ritratto che si avvale di strampalate visioni; un quadro fatto tanto d’immagini struggenti quanto di scene di toccante comicità; un racconto costruito su dialoghi, monologhi interiori e sull’uso della voce-off del protagonista che regala frasi e pensieri di infantile semplicità, spiazzante profondità e toccante lirismo.

E oltre alle parole, Celestini sceglie di dare una sembianza alla “realtà psichica” di Nicola, un volto che Giorgio Tirabassi riesce a far esprimere nel suo essere tanto infantile, quanto profondamente maturo e consapevole dei meccanismi che regolano gli uomini. Una pellicola che, nel suo grido, un lirico grido di rabbia, dolore, aiuto, desiderio, non può lasciare nessuno spettatore indifferente.

Francesca Rinaldi

Articoli correlati

Condividi