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La buca – Recensione

Commedia surreale e grottesca di Daniele Ciprì con la ‘strana coppia’ Castellitto e Papaleo per la prima volta insieme sul grande schermo

Regia: Daniele Ciprì – Cast: Sergio Castellitto, Rocco Papaleo, Valeria Bruni Tedeschi – Genere: Commedia, colore, 90 minuti – Produzione: Italia, 2014 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: 25 settembre 2014.

labucalocandinaOscar, un avvocato cialtrone e truffaldino (Castellitto), finge di essere morso da un cane randagio, adottato da Armando (Papaleo), per trarre profitto dall’incidente. Scoperto che quest’ultimo è in realtà un nullatenente disgraziato, appena uscito di prigione dopo aver scontato ingiustamente 27 anni di galera, vede il miraggio di un risarcimento più cospicuo: intentare una causa milionaria ai danni dello Stato. I due, mossi da un intento simile, l’uno desidera il risarcimento, l’altro ristabilire la verità riabilitando la sua persona, avranno così modo di stringere un’amicizia improbabile e di contagiarsi con reciproci doti e difetti. Carmen (Valeria Bruni Tedeschi), barista dall’animo sensibile, tenterà una mediazione tra il burbero avvocato e l’ingenuo Armando.

Lo spunto narrativo della prima commedia del palermitano Ciprì, qui alla seconda regia, è simile a quello del suo primo lavoro dal titolo “È stato il figlio”: un risarcimento da chiedere allo Stato. Mentre il primo film appartiene al genere drammatico, il secondo è una commedia favolistica ambientata in un luogo e in un tempo astratto. Se in “È stato il figlio” Ciprì aveva raggiunto toni da tragedia greca, nell’impossibilità assoluta per i suoi personaggi di sottrarsi al loro triste destino, qui c’è un finale ottimista, come si confà alle modalità del genere.

Armando, uomo angelico, onesto e senza rancore, anche se vittima innocente di un’ingiustizia, perde nel finale la sua ingiustificata bontà, ma nell’improvvisa inversione della rotta smarrisce credibilità. Il suo è un cambiamento così inaspettato e radicale, che l’uomo si snatura come se fosse improvvisamente contagiato dal morbo della disonestà, praticata ad oltranza dall’avvocato Oscar.

Le maschere realistiche del primo film qui diventano personaggi inefficaci e macchiettistici: tanto angelicato Papaleo, con suo sguardo incantato e monocorde, quanto cinico e truffaldino Castellitto, indirizzato dal regista verso una recitazione molto fisica e veloce, volta a rimarcare queste sue caratteristiche morali. Dietro all’angelo e al demonio si nasconde banalmente l’altra faccia della medaglia: c’è chi vira all’improvviso verso la disonestà e chi predica, in una vita tirata avanti con mezzucci, la filosofia del diritto.

Siamo ben lontani dalle dichiarazioni del regista, che avrebbe voluto realizzare una commedia sofisticata sul modello americano di Billy Wilder con la ‘strana coppia’, Castellitto/Papaleo, sulla falsariga di Lemmon/Matthau.

Solo la cifra stilistica rimane immutata: è il grottesco e il surreale che hanno caratterizzato Ciprì fin dalle sue prime collaborazioni con Maresco in “Cinico tv”.  I risultati sono modesti.

Danila Belfiore

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