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La Brindille – Recensione

La Brindille: lucida e anaffettiva fotografia di un abbandono

Regia: Emmanuelle Millet – Cast: Christa Theret, Johan Libéreau, Anne Le Ny, Laure Duthilleul, Maud Wyler, Jean-François Malet, Cyril Gueï, Nina Meurisse, Nicolas Marié, Myriam Bella, Emilie Chesnais – Genere: Drammatico, colore, 85 minuti – Produzione: Francia, 2011.

“La Brindille” tratta in modo quasi asettico un tema molto intenso, oggetto da sempre di dibattiti socio-morali, l’abbandono di un figlio alla nascita, che, se per un verso incoraggia nelle donne il portare avanti la gravidanza, donando una vita al mondo e facendo la felicità delle coppie in attesa di un’adozione, dall’altro innesca da più parti giudizi e commenti.

Sarah è una ragazza giovanissima, alla ricerca di un lavoro e di una stabilità affettiva, che scopre casualmente di essere in attesa da ben sei mesi. Il suo corpo ha portato avanti la gravidanza senza che la stessa Sarah se ne rendesse conto. La ragazza è sconvolta, ma certa, non potendo ormai abortire, di non volere comunque tenere il bambino. I servizi sociali le trovano una struttura di accoglienza e un ospedale dove poter partorire e abbandonare il nascituro.

La regista mostra con occhio discreto i tre mesi che separano la giovane dal parto, trascorsi entrando e uscendo da una residenza per ragazze in difficoltà, dove non riesce a legare con nessuno, tranne che con la direttrice, in quanto le altre ospiti a differenza di Sarah, desiderano poter tenere il bebè in arrivo, pur con le difficoltà che questo comporta.

La regista non giudica, semplicemente fotografa una situazione, e questo è il pregio ma anche il difetto del film. La narrazione è priva di qualsiasi coinvolgimento emotivo, lo spettatore è relegato in un ruolo di pura osservazione.

Il fatto è che una pellicola dovrebbe comunicare qualcosa, avere il coraggio di portare avanti una tesi, “La Brindille” espone semplicemente dei fatti, a che pro?

Una cosa è certa, a proiezione ultimata rimane una grande amarezza, per Sarah e per il suo rifiuto della realtà, per i bambini abbandonati, per quel grande vuoto affettivo che permea tutto il film. A favore della Millet, rimane, seppur non essendo riuscita a confezionare un prodotto completo, il merito d’aver trattato un tema che difficilmente si porta sullo schermo, almeno non senza melodrammi.

Daniele Battistoni

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