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La bicicletta verde – Recensione

Quando anche una semplice bicicletta può essere simbolo di sovversione

(Wadjda) Regia: Haifaa Al-Mansour – Cast: Reem Abdullah, Waad Al-Masanif, Abdullrahman Algohani, Ahd Kame, Sultan Al Assaf – Genere: Drammatico, colore, 100 minuti – Produzione: Arabia Saudita, Germania, 2012 – Distribuzione: Academy2 – Data di uscita: 6 dicembre 2012.

labicicletta-verdeHaifaa Al Mansour è la prima regista donna dell’Arabia Saudita, ritenuta una delle più significative figure cinematografiche del Regno. Grazie ai suoi film e ai lavori per la televisione, Al Mansour è famosa per la sua capacità di penetrare quel muro di silenzi che circonda le vite delle donne Saudite, e fornire un palco per le loro voci spesso inascoltate. Per il suo primo lungometraggio, realizzato solo dopo tre cortometraggi e un acclamato documentario dedicato anche esso al mondo femminile, la regista ha scelto una storia semplice e innocente come la protagonista di nome Wadjda.

Wadjda è una bambina piuttosto anticonformista rispetto ai coetanei: indossa contro voglia il velo, sfoggia le converse, gioca con i maschi, ascolta musica rock, recita male il Corano e vorrebbe essere inserita nell’albero genealogico della famiglia dove però sono inclusi solo i nomi degli esemplari maschi della sua stirpe. Un giorno di ritorno da scuola, Wadjda si innamora di una bella bicicletta di colore verde in vendita in un negozio vicino casa e, da quel momento, cercherà di far di tutto per ottenerla. Decisa e sempre più convinta di voler guidare e sfrecciare per il quartiere con la bicicletta, libera da qualsiasi restrizione mentale, lontana dal tradizionalismo ottuso del luogo in cui vive, si impegnerà in una competizione religiosa che offre al vincitore un premio in denaro, solo per realizzare il suo piccolo sogno.

Accanto al personaggio così puro e per certi versi trasgressivo rappresentato dalla bambina, si pone la figura della preside, donna tradizionalista, che rispetta le regole in pubblico per mantenere intatta la sua apparenza esteriore.

Il film manifesta toni caldi e accesi descrivendo i tragitti che la bambina effettua per andare a svolgere il suo “dovere”, percorsi che ne rappresentano anche i suoi momenti di evasione. La telecamera accompagna quasi sempre la ragazza lungo le sue passeggiate da casa a scuola, momenti in cui sogna il suo futuro, un futuro libero e svincolato da qualsiasi giudizio. Una libertà che per la sua età e la sua condizione si materializza in una bicicletta verde.

Al Mansour, ricorda per certi versi lo stile e l’intento dell’ illustratrice Marjane Satrapi, autrice del celebre “Persepolis”, come lei, sogna un cambiamento della condizione femminile nei paesi islamici. “La bicicletta verde” mette in luce in maniera vagamente ironica quella cultura ancora così conservatrice, non riuscendo però mai davvero ad appassionare e toccare intellettualmente. La regista avrebbe potuto calcare un po’ più la mano e, con il suo lavoro, contribuire a denunciare il comportamento di quella parte di mondo dove è di norma, ancor ai nostri tempi, calpestare e ignorare la libertà della donna.

Giulia Surace

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