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La Banda Baader Meinhof – Recensione

“La banda Baader Meinhof” di Uli Edel, il primo film tedesco sulla Raf basato sul libro di Stefan Aust, è universalmente riconosciuto il migliore tra quelli che analizza quegli anni

(Der Baader Meinhof Komplex) Regia: Uli Edel – Cast: Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Bruno Ganz, Nadja Uhl, Alexandra Maria Lara, Johanna Wokalek, Stipe Erceg, Heino Ferch, Hannah Herzsprung, Jan Josef Liefers – Genere: Drammatico, colore, 149 minuti – Produzione: Germania, 2008 – Distribuzione: Bim – Data di uscita: 31 ottobre 2008.

banda-baader-meinhofLa pellicola si apre con le immagini di una tranquilla famiglia tedesca progressista. Al centro la giornalista Ulrike Meinhof, ancora nei panni della borghese illuminata. Poi arrivano le manifestazioni degli studenti contro l’intervento Usa in Vietnam e i primi scontri con la polizia. S’inneggia a Ho Chi Min, dopo il discorso del leader studentesco Rudy Dutschke in un’aula universitaria e c’è un bel fermento. Il passaggio alla prima bomba ad un magazzino e l’incontro tra l’ex deliquentello Andreas Baader e la bionda fidanzata Gudrum Ensslin è tutt’uno.

La condanna a tre anni di prigione non li ferma, anzi diventano degli eroi e iniziano a fare proselitismo tra i loro coetanei. Sono anche gli anni della fuga in Italia, che è quasi una vacanza. Sono belli, giovani e liberi, quasi delle star. L’incontro dei due con la brillante ed inquieta giornalista Ulrike, che libererà Andreas dal carcere e diventerà l’ideologa del gruppo segna la nascita ufficiale della Rote Armee Fraction. Eppure, i suoi membri ancora giocano alla guerra, durante l’addestramento in un campo di El Fatah in Palestina, prendendo il sole nudi a dispetto delle tradizioni islamiche.

Quella che appare nel film è solo una banda di idioti che mette a colpo una serie di rapine per finanziarsi. Nel frattempo, Horst Herold, un sempre bravo Bruno Ganz, diventa direttore della polizia nazionale investigativa tedesca. Solo lui, nella solitudine del suo ufficio, capisce che questo gioco diventerà sempre più duro e sanguinoso e in fondo al cuore sembra quasi comprendere le loro ragioni. La bomba contro la casa editrice Axel Sprinter, colpevole ai loro occhi d’imperialismo, è un passo falso e l’inizio della fine.

ll resto è storia. Il cerchio si stringe sempre più intorno a loro. Baader, la sua fidanzata Gudrum e Ulrike Meinhof verranno arrestati in tempi diversi nel 1972. Passeranno anni in carcere in condizioni di assoluto isolamento. Il processo, iniziato nel 1975, lungo più di 150 giorni, sarà uno dei più costosi della storia tedesca. E a giudicare dal film è quasi uno show, anche se qui comincia l’isolamento dell’ideologa, a prima vista l’anello debole della catena. E’ noto che i tre si suicideranno.

Durante la visione assistiamo all’evolversi dei personaggi. Baader è arrogante, ma anche carismatico, persino nel momento del suo arresto e non ha tentennamenti al pari della Ensslin, con la eterna sigaretta in bocca. Diversa Ulrike Meinhof che, pur avendo abbandonato per sempre le figlie senza pensarci troppo, piange al momento del suo arresto. Ed è anche quella, che crolla per prima in prigione, scivolando via via nella follia e nella solitudine. E’ chiaro che nessuno uccise i tre, che decisero loro stessi di farla finita, questo il film lo dice forte e chiaro.

Seppure imperfetto, “La banda Baader Meinhof” cerca di raccontare con più rigore possibile una storia scomoda ancora oggi, dopo tanti anni in Germania, dove è stato accolto da mille polemiche. In qualche modo, ne escono tutti male, dai membri della Raf, che sembrano quasi farneticanti e confusi ideologicamente, ai politici. L’unico “pulito” è il superpoliziotto interpretato da Bruno Ganz, evidentemente troppo vecchio per fare il terrorista, qui perfettamente in parte. La colonna sonora è notevole e le scene d’azione sono da cardiopalma. Nel cast con Ganz, Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu e Johanna Wokalek.

 “La banda Baader Meinhof”, che chiude la trilogia di Edel iniziata, con “Christiana F.” e “Last exit Brooklyn”, può essere un’occasione per riflettere sugli orrori di una storia ancora recente da non dimenticare.

Ivana Faranda

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