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Jake Gyllenhaal incontra il pubblico alla Festa del Cinema di Roma 2017

Il 29 Ottobre 2017, nell’ambito della ricca programmazione della Festa del Cinema di Roma 2017, nella Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica si è svolto l’incontro ravvicinato con il fascinoso attore Jake Gyllenhaal, protagonista del film “Stronger” che figura nella Selezione Ufficiale della Festa di quest’anno.

Nel corso dell’intervista vengono come sempre mostrate alcune sequenze dai suoi lavori più famosi, più una da una pellicola scelta personalmente da Gyllenhaal che rappresenti il suo “film del cuore”.

“Donnie Darko”, una storia con un valore universale

Jake Gyllenhaal Donnie Darko

Jake Gyllenhaal in una scena dal film “Donnie Darko”

Si inizia subito con una sequenza dal film cult del 2001 “Donnie Darko“, che ha introdotto Jake Gyllenhaal nel mondo scintillante della fama; la prima domanda che gli viene posta è perchè, secondo lui, questo sia diventato un film di culto: l’attore risponde che probabilmente questo dipende dal fatto che ci sono più livelli nella narrazione, che è fantascientifica ma rappresenta al contempo una storia umana che va al di là delle convenzioni, in una creazione fuori dalle righe che riesce a toccare profondamente lo spettatore. E poi, aggiunge, se un film commercialmente non va bene, poi viene definito cult.

Si aspettava, poi, che “Donnie Darko” sarebbe stato visto religiosamente dai giovani? “Si” (il pubblico ride e si lascia andare ad un applauso). Gyllenhaal spiega che una persona non intraprende un certo percorso creativo se pensa che esso non possa essere fruito da tutti, quindi si, credeva in quel film; in tutto ciò che fa ci mette il cuore, con la speranza che venga visto e apprezzato e che susciti nel pubblico le stesse sensazioni che aveva avuto lui. Al tempo di “Donnie Darko” era giovanissimo, ma ha creduto fermamente in una storia con un valore universale, che parla del passaggio dall’adolescenza all’età adulta senza scadere nei clichè: la storia corrispondeva ai suoi sentimenti ed era sicuro che lo stesso sarebbe stato per gli altri.

Il bootcampo di “Jarhead” e l’eclettismo di Jake Gyllenhaal

Altro film dove le doti attoriali di Jake Gyllenhaal fanno bella mostra di sè è il war-movie “Jarhead”. Per preparare gli attori al ruolo del soldato, il regista Sam Mendes li ha tenuti in un bootcamp per due settimane, durante le quali hanno potuto vivere una realtà simile a quella dei soldati; questa esperienza lo ha preparato ad azioni che si è trovato poi a svolgere nel film. In più, Mendes, che è un regista teatrale, ha sottoposto il cast a prove durate un mese, che hanno permesso a Gyllenhaal di entrare a fondo nel personaggio e di capirlo davvero.

Per quanto riguarda, invece, il genere di ruoli che preferisce impersonare, Jake Gyllenhaal racconta di vedere il cinema come vicino al sogno, e così come i sogni possono essere diversi, anche nel cinema gli piace affrontare esperienze diverse tra loro.

Rappresentare l’amore omosessuale ad Hollywood: l’importanza del giusto equilibrio per Jake Gyllenhaal

Jake Gyllenhaal Festa del CinemaLa terza sequenza mostrata nel corso dell’incontro proviene dal film e che è valso a Jake Gyllenhaal la nomination per il Premio Oscar al Miglior Attore Non Protagonista, “I segreti di Brokeback Mountain”: ad attrarlo maggiormente in questo film è stata innanzi tutto la possibilità di poter lavorare con il regista Ang Lee, che  è il sogno di ogni attore: aveva sentito parlare di questa sceneggiatura e una volta letta, si era commosso e confessa di aver pianto.

La giusta chiave per rappresentare questa storia stava tutta nel trovare il giusto equilibrio tra gli attori che avrebbero dovuto interpretarla, e alla fine è risultato vincente quello tra Gyllenhaal e Heat Ledger: durante l’incontro con il regista questi non gli disse nulla, annuiva solamente e poi gli chiese di andare. Un mese dopo gli comunicarono che aveva ottenuto la parte.

Fin dall’inizio “I segreti di Brokeback Mountain” gli era parsa una storia d’amore da vivere senza pregiudizi: oggi sugli schermi vediamo più storie che trattano l’argomento dell’amore tra persone dello stesso sesso, ma al tempo, nel 2005, non era così o almeno non lo era nella pop-culture di Hollywood. L’attualità americana, continua Gyllenhaal, è caratterizzata da un alto grado di confusione, quasi di degrado culturale; ma le paure che aleggiano nel Paese non fanno altro che confermare le sue posizioni e quello in cui crede, ed è questo che lo spinge a raccontare sempre più storie.

Jake Gyllenhaal VS Christoph Waltz: l’interpretazione

Il film “Zodiac”, thriller del 2007 diretto da David Fincher, apre la strada ad un discorso sull’improvvisazione: Gyllenhaal infatti, nel raccontare un piccolo aneddoto sulla scena mostrata (che poi alla fine non è riuscito a ricordare), ha raccontato che questa era stata girata tre volte, e ogni volta cambiava, anche perchè lui non riusciva a ripetere due volte le stesse cose nello stesso modo. A questo punto è sorto spontaneo il confronto con il collega Christoph Waltz, che qualche giorni prima, proprio in occasione dell’incontro ravvicinato organizzato per la Festa del Cinema di Roma, aveva raccontato di non lasciare mai nulla all’improvvisazione: “Sarebbe divertente lavorare con Christoph Waltz” scherza Gyllenhaal, per poi continuare dicendo che lui crede nel rispettare le parole ma anche i momenti, i compagni di lavoro, il regista e le energie che egli richiede in una certa scena; ha lavorato in film in cui non ha tralasciato nemmeno una parola, comprese le esitazioni che erano segnate sulla sceneggiatura, mentre altre volte gli è capitato di abbandonare il testo e mantenere unicamente l’essenza. L’unica parola d’ordine in questo senso è ‘preparazione’.

E la differenza tra il lavorare con Ang Lee rispetto a David Fincher? “Ok, buonanotte”, scherza Gyllenhaal (come sempre tra gli applausi adoranti del pubblico); se dovesse descrivere ciascuno dei due registi con una parola, per Fincher sarebbe precisione mentre per Lee, più che una parola, sarebbe una sorta di cuore con le gambe.

Jake Gyllenhaal, lo sciacallo

Il ruolo del giornalista senza scrupoli Lou Bloom, nel 2014, valse a Gyllenhaal la candidatura al Golden Globe come Miglior Attore in un Film Drammatico: in “Lo sciacallo – Nightcrawler” appare magrissimo, con un qualcosa nello sguardo di folle e molto inquietante. L’effetto del non battere quasi mai ciglio, racconta, in realtà, è stato un effetto collaterale della sua interpretazione di questo personaggio: aveva riflettuto su di lui, conosceva la forza che ne animava i monologhi, ed era evidente che dovessero essere pronunciati con un certo ritmo, come se non fossero spontanei ma frutto di attente riflessioni, e quindi, inconsapevolmente, il suo sguardo in queste scene era rimasto fisso, come un animale che punta la sua preda.

Un personaggio come quello di Lou, secondo Gyllenhaal, non è altro che il frutto dei desideri del pubblico, poichè al di là della linea di condotta dei media in generale, sono gli spettatori a definire ciò che vi si vedrà o leggerà.

L’estetica di Tom Ford secondo Gyllenhaal

Il film “Animali Notturni”, del 2016,  presentato in concorso alla 73ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, si può definire, secondo l’attore che qui recita la parte di uno dei protagonisti, come una metafora di quel che accade quando un cuore di spezza.

Tom Ford è diventato un cineasta solo ad un certo punto della sua vita, dopo essere stato uno stilista: questo background si mostra nel suo operato cinematografico attraverso la ricerca del valore estetico; ciò che rende bella una pellicola è l’aspetto visivo, anche se a volte è quasi difficile guardare un certo tipo di scene, ma Ford non si ferma alla superficie, scava nel profondo, non nega le sue lotte interiori: ad attrarci nelle sue opere sono la sincerità e genuinità che sono poi la chiave del suo lavoro. Questa sua transizione, dunque, acquisisce nel suo operato un certo senso, che si rafforza dopo averci collaborato.

Gyllenhaal e Fellini

Jake Gyllenhaal Festa del Cinema di Roma 2017

La sequenza scelta dal Gyllenhaal da quello che potrebbe definire il suo film del cuore proviene dalla tradizione italiana: si tratta infatti di una scena da “La strada” di Fellini: fu proprio questa pellicola a convincere il padre che la sua strada fosse quella cinematografica, e se il genitore non avesse coltivato questo suo amore, forse non l’avrebbe fatto nemmeno lui e oggi non si troverebbe qui. Ad affascinarlo poi, erano anche i racconti sulla realizzazione di “La strada”, sul fare un film quando l’unico a crederci sei tu e, soprattutto, il fatto che nel film si combinassero il profondo dolore e la commedia.

Se dovesse scegliere un regista del passato, che non c’è più, e uno del presente con cui gli piacerebbe lavorare, Gyllenhaal fa il nome di Fellini e quello di Pedro Almodóvar.

Sotto l’ennesimo applauso scrosciante, si chiude anche questo incontro della Festa del Cinema di Roma 2017, mentre Jake Gyllenhaal lascia il palco da cui ha incantato il suo pubblico nell’arco dell’ultima ora.

Giada Aversa

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