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Italiano medio – Recensione

La parodia selvaggia di Maccio Capatonda non regge il passaggio dal formato “pillola web” a quello del lungometraggio, ma qualcosa si salva

Regia: Maccio Capatonda – Cast: Maccio Capatonda, Herbert Ballerina, Ivo Avido – Genere: Commedia, colore, 90 minuti – Distribuzione: Medusa – Data di uscita: 29 gennaio 2015.

italiano-medioIl gioco non è riuscito: la concisa demenziale ironia che ha portato Maccio Capatonda a divenire fenomeno virale sul web si gonfia fino ad assumere una fisionomia informe, e soprattutto perde a livello di efficacia e di incisività con la trasposizione in un lungometraggio cinematografico. La struttura a pillole dei brevi finti trailer, o delle mini-puntate parodia delle soap operas, riusciva (e riuscirebbe tuttora, salvo un rinnovamento nelle idee) a far esplodere la bomba comica e allo stesso tempo a concentrare in un lasso ristretto di tempo e spazio il ribaltamento del luogo comune o l’evidenziazione dello stereotipo, di modo che il clima di assurdità potesse essere adibito a naturale contesto di gag esilaranti; tutto ciò viene a perdersi con la decompressione narrativa imposta da un film vero e proprio, della durata di un’ora e mezza circa: uno sforzo decisamente inadeguato alla specifica tipologia comica capatondiana.

La vicenda è la stessa lanciata in un finto trailer di un anno fa, senza sostanziali modifiche se non quelle dettate dall’abnorme dilatazione nel racconto; il trailer, a sua volta, era tra le altre cose una parodia di “Limitless”, pellicola americana del 2011 diretta da Neil Burger, nella quale l’assunzione di una certa pillola permetteva di implementare a un grado superiore le funzioni cerebrali. In “Italiano medio”, la pillola funziona al contrario: chi la prende passa dal controllo standard del 20% (più o meno) delle proprie capacità cognitive a un pericoloso 2%. Una regressione a uno stato di idiozia pressoché totale, nel quale si dà sfogo agli istinti peggiori – pulsioni che non rispondono a uno stato di naturalità vitalistica, bensì a un intorpidimento prodotto dal lavoro di una sovrastruttura culturale annichilente nei confronti di personalità deboli e facilmente plasmabili.

Il protagonista ha, secondo uno schema ricorrente (e vincente) della comicità di Maccio, un nome di per sé esplicativo, persino didascalico: Giulio Verme. Costui è vegano, ecologista, attivista e leader del movimento “Mobbasta”, contro la cementificazione di un parco pubblico; fa perdere le staffe alla pur paziente compagna di vita perché è troppo serio e non vuole procreare in un mondo in cui si è già in troppi a produrre inquinamento. L’incontro fortuito con un vecchio amico, tale Alfonzo, lo induce a provare la famigerata pillola in un momento di debolezza: la metamorfosi è repentina, drastica, senza appello. Giulio Verme diventa malato di sesso e televisione, si veste in modo eccentrico, gli crescono i capelli, si profonde in atti e gesti scurrili – nel solco della grande tradizione del cinepanettone, ma qui la reiterazione è tanto prolungata da far dubitare dell’efficacia della parodia, che forse si spinge tanto in là da valicare il labile confine che la separa dall’emulazione; infine, partecipa al concorso che rappresenta il metro culturale del paese: “Mastervip”, l’esaltazione della vacuità e dell’ignoranza.

Il carattere bipolare del protagonista, di stampo manicheo, si riflette nel contesto che lo ingloba, anch’esso bipolare, ma in forma chiaramente asimmetrica: sono pochi quelli che hanno un cervello sulle spalle, e si tengono ben nascosti; tutti gli altri sono dementi assuefatti a uno stile di vita fondato sui valori propugnati della notorietà fine a sé stessa e del consumismo sfrenato. A rendere bene l’idea c’è la personificazione di caricature da parte di attori non professionisti: è questa da sempre una delle caratteristiche della produzione di Maccio, mantenuta anche – con qualche spunto di buon livello e tante auto-citazioni – nella trasposizione cinematografica. La schematizzazione è volutamente portata all’eccesso, in modo da valorizzare l’impronta comico-grottesca della lotta contro i mulini a vento portata avanti da Giulio Verme nella versione sobria di sé stesso: ma, appunto, tale schematizzazione è tanto efficace su una pillola da web quanto inadeguata e alla lunga monotona su un film di durata consistente.

Una nota a parte merita la regia, buona sia a livello di montaggio che di qualità nelle inquadrature e nella costruzione delle scene. Alcuni effetti speciali sono notevoli, anche e soprattutto se rapportati al budget esiguo a disposizione, e niente affatto scontati in una commedia di produzione italiana.

Tirando le somme, dov’è che sta l’italiano medio? Nella via di mezzo, nel compromesso. Non è il perfetto idiota drogato di Grande Fratello e incapace di articolare una frase compiuta, ma non è neanche il tipo acuto e sensibile che vuole salvare il mondo dall’industrializzazione e discorrere di letteratura; l’italiano medio è nessuno dei due e un po’ di tutti e due: è quello che, alla fin fine, se ne frega.

Marco Donati

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