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Il violinista del Diavolo – Recensione

Il racconto di un genio tormentato attraverso la sua musica

(Der Teufelsgeiger) Regia: Bernard Rose – Cast: David Garrett, Jared Harris, Joely Richardson, Christian McKay, Veronica Ferres – Genere: Drammatico, colore, 122 minuti – Produzione: Germania, Italia, 2013 – Distribuzione: Academy2 – Data di uscita: 27 febbraio 2014.

ilviolinistadeldiavoloBernard Rose si accosta nuovamente al mondo della musica classica: dopo “Immortal Beloved”, film sulla vita di Beethoven, ora si occupa del più grande violinista mai esistito: Niccolò Paganini.

Per farlo si serve di David Garrett, il violinista attualmente più famoso (una sorta di Paganini del XX secolo), prestatosi alla recitazione per l’occasione.

Siamo agli inizi dell’Ottocento, Paganini è una star riconosciuta in Italia e Francia, e passa le sue giornate tra musica e vizi. Incontra un ‘mefistofelico’ agente, Urbani (Jared Harris), con il quale firma un contratto che lo porta a debuttare a Londra, dove conosce l’impresario John Watson e la figlia Charlotte, talentuosa cantante della quale Paganini si innamora perdutamente.

Il film non è da considerare un biopic, il personaggio di Paganini non viene mai ‘spiegato’ allo spettatore, ma solo ‘raccontato’ attraverso le sue eccentricità prima, e le sue debolezze, poi.

Il maestro viene rappresentato come una rock-star dell’epoca, con lo sguardo spento dagli stupefacenti, i capelli lunghi e disordinati, gli occhiali neri sul volto, che ha un tormentato rapporto con la fama, e soprattutto, con il suo agente dalle sembianze demoniache, che presumibilmente rimanda al Faust goethiano.

Apponendo la firma sul contratto, il violinista stipula il suo patto, che gli porterà fama e poi dolore. Alla fine della sua esistenza, Urbani-demonio, sarà pronto a prendersi la sua anima.

La figura di Paganini rimane descritta a metà, in una sorta di limbo che prevede una caratterizzazione ‘grottesca’, che però non viene sviluppata a sufficienza.

La vera protagonista del film è la musica. Non a caso l’interprete principale è un musicista (autore anche della colonna sonora) e non un attore, qualcuno capace di suonare i virtuosismi del maestro. Forse proprio perché la volontà del regista era quella di far parlare la musica per Paganini.

Il film che ne viene fuori, è dunque pieno di grande forza musicale, che purtroppo non riesce a competere con la forza narrativa.

Un film tutto sommato piacevole, ma più apprezzabile dai musicisti che dai cinefili.

Gioia Abbattista

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