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Il nome del figlio – Recensione

I progressisti divenuti conservatori. Siamo noi. Siamo ridicoli. Eccoci in commedia

Regia: Francesca Archibugi – Cast: Alessandro Gassman, Micaela Ramazzotti, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Rocco Papaleo – Genere: Commedia, colore, 94 minuti – Produzione: Italia, 2014 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: giovedì 22 gennaio 2015

il-nome-del-figlioUna casa tra il Pigneto e San Lorenzo, nel Mandrione romano, uno dei quartieri più contrastati e affascinanti della Capitale, come ambientazione unica dell’intera pellicola.

Le scene si muovono tra la terrazza e la sala da pranzo, ma, beffando l’apparente staticità del luogo, incalzano con sorprendente dinamismo.

Una casa piena di libri, cinquemilacinquecento volumi piazzati in una stanza, per costruire l’identità della famiglia Pontecorvo, una ricca famiglia di sinistra, sospesa tra passato e presente e ammaliata dal desiderio di fermare il tempo. Paolo e Betta Pontecorvo, Simona, Sandro e Claudio sono a cena, una cena allegra tra amici che si conoscono da una vita.

Nulla lascia presagire la paradossale baruffa che si scatenerà poco dopo, quando Paolo, estroverso e burlone  saltimbanco che monopolizza l’andamento della serata per quasi tutta la scena, annuncia “Il nome del figlio” che aspetta da Simona. Il nome è giudicato inammissibile e diventa l’escamotage per rompere gli argini della quiete ed entrare in un vorticoso gioco attraverso il quale i personaggi metteranno giù la maschera e, ad uno ad uno, confesseranno impensabili segreti in un susseguirsi frenetico di stati d’animo altalenanti.

Paolo, Betta, Sandro, Simona e Claudio sono cinque articoli di un catalogo di esseri umani, cinque tipi psicologici vittima di un’immagine di sé, che viene inesorabilmente scalfita nel corso della serata, svelando un humus inatteso.

Paolo, superficiale e sbruffone, si è liberato dal codice familiare inseguendo la ricchezza e sposando Simona, di classe inferiore, ma bellissima donna di fama televisiva. Sandro e Betta sono una coppia spenta e inerte, sono soli in due, alienati ognuno nel suo mondo personale. Lui, professore di lettere e raffinato scrittore, è chiuso in una elitaria e sprezzante visione delle cose, non è immerso nel presente, anzi, lo riufiuta e lo rifugge trincerandosi nell’ossessiva mania del ‘twittare’. Betta, moglie e mamma incessantemente al servizio del benessere altrui, è stanca e invecchiata. Claudio, infine, è il più enigmatico: all’inizio resta pacatamente fuori campo, media, fa da arbitro per mantenere in equilibrio gli squilibri altrui, ma improvvisamente lascia tutti attoniti con una rivelazione finale.

Chiusi tra le pareti di una stanza, fanno fatica ad accorgersi che il tempo fuori è cambiato, conservano la dolce nostalgia dei progressisti conservatori. Ma sono estremamente reali, potremmo essere noi, qualcuno che conosciamo, qualcuno che ci assomiglia.

Francesca Archibugi e Francesco Piccolo, ispirati dalla pellicola d’oltralpe “Una cena tra amici”, sono ripartiti dalla commedia teatrale, più che dal film, lasciando ampio spazio all’improvvisazione, all’estemporaneità e all’istintività della recitazione, ma su un’ossatura studiata, oculata e meticolosa.

Emozionante il momento in cui entra la musica di Battista Lena, del gruppo Sugar, una melodia semplice, ariosa, di matrice popolare, ma con un sottile double face malinconico, perfettamente aderente allo stile della pellicola.

Valentina Ruocco

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