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Il castello magico – Recensione

Il castello magico: una pellicola adatta a bambini di ogni età, curata nel character design così come nella colonna sonora

(The House of Magic) Regia: Jérémy Degruson, Ben Stassen – Cast: Riccardo Suarez, Giorgio Lopez, Christian Iansante, Carlo Valli, Perla Liberatori, Roberto Stocchi – Genere: Animazione, colore, 90 minuti – Produzione: Belgio, 2013 – Distribuzione: Notorious – Data di uscita: 1 gennaio 2014.
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Tra i film di Natale del 2013 adatti ai più piccoli fa la sua comparsa “Il castello magico”, un’interessante produzione belga, diretta a due mani da Jérémy Degruson e Ben Stassen, lo stesso regista e produttore di “Le avventure di Sammy”.
La pellicola ha per protagonista Tuono, un gattino dal pelo rosso abbandonato sul ciglio della strada, che trova un riparo presso l’abitazione di un mago di nome Lawrence. L’anziano e buffo signore lo terrà con sé insieme a un nutrito gruppo di giocattoli e animali, considerati parte della sua famiglia. Quando il nipote di Lawrence cercherà di raggirarlo per vendere la casa e sbarazzarsi del suo armamentario da mago, la squadra di bizzarri personaggi entrerà in azione capeggiata proprio da Tuono.
Il primo aspetto da sottolineare, quello più innovativo di “Il castello magico”, è l’aver tratto spunto da un film d’attrazione 4D, ossia un film 3D con effetti speciali pensato per un parco divertimenti. La dimensione avventurosa della pellicola, i vertiginosi salti in aria e inseguimenti nella casa del mago, ricordano infatti l’effetto vorticoso di alcune attrazioni dei parchi giochi, a partire dalle montagne russe stesse. L’originalità dell’idea di base contribuisce a rendere godibile la fruizione dei 90 minuti della pellicola, adatta anche per i più piccini, anzi pensata soprattutto per loro.
Un’altra tecnica che ammicca all’adrenalina del girato in 3D e che ricorda ancora una volta la sensazione di essere sulle montagne russe è quella di utilizzare molte soggettive nei momenti di massima azione: lo spettatore segue con lo sguardo di Tuono o di chi per lui il concitato svolgersi degli eventi, tra corse arrampicati su per un albero e inseguimenti nello scantinato.
Se uniamo gli aspetti tecnici al disegno dei personaggi, ecco che la ricetta di “Il castello magico” appare vincente. Tutti i piccoli protagonisti della storia sono stati concepiti su carta, grazie ad un lungo ed accurato lavoro di ricerca, che si nota nella poliedricità delle suggestioni alla base delle figure. Se Tuono risulta il più banale, i giocattoli creati dal mago hanno un sapore retrò che conferisce al film uno stile tutto suo; basterebbe citare Edison, la lampadina con il sorriso o Chef, il cuoco con le gambe a molla, per non parlare di Gunther, un pupazzo tirolese con le guance arrossate dal vino. La stessa casa di Lawrence è piena di piccoli particolari vintage, tali da rendere il suo mondo veramente magico. La modernità, rappresentata simbolicamente da elementi esterni alla casa, come i visitatori che vorrebbero acquistare la proprietà dal nipote cattivo, ne risulta sconfitta.
Gli animali sono i meno originali, per quanto riguarda la loro resa grafica, ma la cura nel dare loro veridicità è estrema; valgano su tutti i colombi Carlo & Carla muovono il collo e tubano come se fossero reali.
Il gusto un po’ antico della pellicola si rivede anche nell’utilizzo di qualche dissolvenza o nella scelta delle musiche, spesso affidate a un grammofono e a un pianoforte della casa. La colonna sonora in effetti è stata affidata a un compositore abbastanza noto, Ramin Djawadi (“Il trono di spade”, “Hotel Transilvania”, “Pacific Rim”), che mescola un accenno iniziale ai Cure con melodie più tradizionali, proprio per ricreare in musica il dualismo estetico del film.
Sebbene la storia sia forse troppo particolareggiata e molto leggera, la pellicola convince per la sua diversità ed accuratezza. Se i creatori dei personaggi avessero avuto fino in fondo il coraggio di abbandonare gli elementi moderni a favore del recupero di un passato magico e naif, la riuscita complessiva sarebbe stata perfetta. La sensazione che rimane al termine della pellicola è comunque quella di aver assistito a qualcosa di diverso, in grado di riaccendere lo stupore anche nei più grandi.
Irene Armaro

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