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Gli ultimi saranno ultimi – Recensione

  • Regia: Massimiliano Bruno
  • Cast: Paola Cortellesi, Alessandro Gassman, Fabrizio Bentivoglio, Ilaria Spada, Stefano Fresi, Maria DiBiase
  • Genere: Drammatico
  • Produzione: Italia, 2015
  • Distribuzione: 01 Distribution
  • Data di uscita: 12 novembre 2015

“Gli ultimi saranno ultimi”: un cambio di rotta

Gli-ultimi-saranno-ultimi-recensioneLuciana (Paola Cortellesi), una quarantenne di Anguillara, scopre di essere, dopo molti tentativi, rimasta incinta. Non appena la notizia della gravidanza si diffonde, Luciana viene licenziata dalla fabbrica in cui lavora da anni. Perderà uno alla volta sostegni materiali e affettivi. Antonio (Fabrizio Bentivoglio) è un poliziotto trasferito ad Anguillara con disonore. La nomea di traditore lo segue ovunque e gli rende la vita impossibile, anche nel placido commissariato a cui è stato destinato.

Massimiliano Bruno tenta uno scarto. Quattro anni dopo la sorpresa di “Nessuno mi può giudicare”, il regista, giunto al suo quarto film, decide di affrontare il dramma. E lo fa in un modo coerente e allo stesso tempo sorprendente.  Lo sguardo è centrato su due protagonisti che abitano nello stesso paese ma che non si incontrano mai fino alla notte in cui le loro vite saranno cambiate per sempre. Come in molti film d’oltreoceano, Bruno preannuncia il finale sin dalla prima inquadratura, procedendo poi a ritroso e tornando di tanto in tanto a sprazzi di quella che sarà la scena madre, in cui si tenteranno di riannodare tutti i fili narrativi sciolti in precedenza. Un meccanismo narrativo che in un film straniero non sorprende affatto, ma che in una produzione nostrana “non autoriale” (il fatto che in Italia si usi questo distinguo è sintomo di quanto sia messo male il nostro cinema) non può che fare piacere e spiazzare un minimo lo spettatore.

Ciò che differenzia, in un discorso più ampio, “Gli ultimi saranno ultimi” dalla massa informe di prodotti italiani degli ultimi anni è la mancanza di una pretesa. Non c’è la pretesa di far ridere con battute recitate da facce intercambiabili, non c’è la pretesa di mostrare qualcosa di “alto”. Si vede in maniera piuttosto chiara che l’intento di regista, cast e crew è lo stesso: raccontare una storia e lasciare che la storia stessa faccia il suo effetto sul pubblico. Questo non vuol dire che sia tutto lasciato al caso durante una rincorsa all’emozione facile. Al contrario, il livello di dettaglio e di precisione tecnica è sorprendente.

“Gli ultimi saranno ultimi”: tecnica e precisione contro superficialità

La camera a mano, che segue incessantemente i protagonisti, sembra voler suggerire uno sguardo vicino al documentario. A questo contribuiscono il trucco e i costumi degli attori, mai ripresi con compiacimento, sempre con i capelli arruffati, i vestiti sgualciti, la barba incolta, la pancetta. Il film è pieno di dialetti e cadenze che suonano reali e non studiati per qualche fiction.

La presenza costante del sacro, trattata con una leggerezza che sfiora la farsa, appare sempre più sensata mano a mano che il film procede e le sofferenze di Luciana prendono i connotati di una Passione. In generale, quello che nei primi minuti di film può essere classificato come incuria (recitazione dimessa, mancanza di musica), è semplicemente economia di mezzi. La storia segue un arco narrativo che conduce con un’accelerazione costante al finale promesso sin dall’inizio.

Certo, “Gli ultimi saranno ultimi” non manca di pecche che lo rendono un tentativo andato a segno solo in parte. Alcuni momenti sono dei nei che stonano con l’understatement generale della pellicola. Le scene in cui Luciana è depressa e sola in una piazza e sotto la pioggia mentre tutto scorre lento intorno a lei gridano DRAMMA da ogni poro e peccano in didascalia. Anche se realizzate come il resto del film con cura e perizia tecnica sanno di sottoprodotto, di faciloneria, e distraggono lo spettatore. Tolgono in più effetto ai momenti in cui il rallenty, accompagnato dalla giusta colonna sonora, è funzionale alla narrazione e diventa valore aggiunto.

Altro difetto si può trovare nella volontà di dare abbastanza spazio al percorso di qualsiasi personaggio, anche del meno importante dei secondari. È naturale che per esigenze drammatiche al momento di tirare le fila i destini di alcuni personaggi vengano omessi, ma proprio l’attenzione dedicata alle loro storie lascia a bocca asciutta chi desiderava saperne qualcosa in più.

Riguardo i protagonisti, invece, Paola Cortellesi dimostra una maturità artistica non indifferente distaccandosi dal solito ruolo di ‘impacciata ma determinata’ e trovando una qualità vocale inedita, adattissima alla sua Luciana. Prova a caricarsi sulle spalle l’intero film e, a parte i già citati momenti marchiati DRAMMA (la Cortellesi qui è sceneggiatrice oltre che interprete, quindi sono da imputare anche a lei), riesce nel suo compito aiutata anche da un nutrito cast di comprimari. Fabrizio Bentivoglio è forse il migliore del cast, i problemi del suo Antonio si vedono tutti dal modo in cui parla, guarda o cammina, raramente dalle battute. Tra i mille altri attori che popolano il film, spicca la talentuosa Maria DiBiase, che ha poche scene ma le gestisce con una grande sapienza: un confronto tra il suo personaggio e quello di Bentivoglio è tra i migliori momenti cinematografici dell’anno.

A volte insomma l’equilibrio tra dramma e commedia sembra perdersi e si propende troppo per l’una o per l’altra, ma è sicuramente più che positivo vedere in Italia cineasti e attori che provano a rimanere in equilibrio su un filo sottile con il solo obiettivo di raccontare bene una storia.

Jacopo Angelini

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