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Forza Maggiore – Recensione

Prima sé stessi?

Regia: Rubern Öslund – Cast: Johannes Bah Kuhnke, Lisa Loven Kongsli, Clara Wettergren, Vincent Wettergren, Kristofer Hivju, Fanni Metelius – Genere: drammatico, colore, 118 minuti – Produzione: Svezia, Danimarca, Francia, Norvegia 2014 – Distribuzione: Teodora Film – Data di uscita: 7 maggio 2015

forza-maggioreIl colore bianco sembra costituire il fulcro dell’opera cinematografica di Rubern Östlund in termini sia di ambientazione reale che emotiva. Da una parte la montagna innevata, dall’altra una sorta di ‘ovattatura emotiva’: lo spettatore difficilmente riesce a vivere, ad essere coinvolto nel trambusto sentimentale che colpisce i protagonisti. Un trambusto che sembra accennato e non vissuto in tutta la sua drammaticità. Si avverte una distanza fredda fra chi guarda e i personaggi come se anche i loro sentimenti fossero avvolti nella neve. Difficile risulta immedesimarsi.

Già dalle prime scene – la perfezione sospetta dell’armonia familiare, le cannonate della montagna, le note della musica classica – si presagisce un accadimento poco piacevole. La famiglia svedese in vacanza sulle Alpi francesi è vittima di una valanga alla quale sopravvive. Una valanga che lascia illesi i loro corpi ma non l’anima.

La reazione egoistica del padre – Tomas – alla disavventura costituirà motivo di crisi del proprio equilibrio interiore e soprattutto del rapporto coniugale. Una reazione palesante la vena più intima e animalesca della nostra natura: l’istinto di sopravvivenza.

Il disagio e lo sconvolgimento sentimentale che avviluppa la famiglia risultano sottolineati per contrasto dal contesto nel quale si collocano: una settimana di vacanza all’interno di un lussuoso hotel.

Il regista sembra voler porre una serie di interrogativi riguardo la natura umana, il vivere e le dinamiche socio-civili con le quali siamo portati a confrontarci. L’essere uomo come genitore, coniuge, singolo e/o parte di una comunità a confronto con avvenimenti imprevisti costituisce la riflessione cardine proposta dalla storia filmica. Riflessione sottolineata anche dalla conclusione: tutti i passeggeri dell’autobus guidato da un autista in apparenza poco prudente, allarmati, scendono e si incamminano insieme uniti, pur non conoscendosi, da una sorta di sottile cordone. Uno ‘stare in gruppo’ che entra in contrasto con la scelta di una sola persona di rimanere sull’autobus.

Appare evidente la contrapposizione singolo-comunità. Dicotomia sulla quale Rubern pone l’attenzione fin dall’inizio: nel rapporto fra Tomas e la famiglia, nei dialoghi/sfoghi che Ebba, la moglie, intrattiene con gli altri personaggi, nella condizione dell’amico della coppia, Metz, divorziato con figli e in vacanza con una giovanissima nuova compagna e nella discussione notturna tra Metz e Fanni.

Dall’altra parte Metz appare un personaggio interessante in quanto fulcro della nota ironica che attraversa la storia.

Un’opera, dunque, che lascia aperti alcuni punti di domanda ma anche un senso di freddo distacco dalla storia e dai patimenti dei personaggi.

Marianna Cifarelli

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