Eco Del Cinema

Cloud Atlas – Recensione

Epico, visionario, coinvolgente, questo racconto del genere umano, del suo sentire, del suo errare, del suo cadere e poi rinascere, grazie al coraggio di pochi che spesso, con le loro azioni, lasciano un segno indelebile nella storia, più dell’agire di immense moltitudini

Regia: Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski – Cast: Tom Hanks, Halle Berry, James McAvoy, Susan Sarandon, Jim Broadbent, Ben Whishaw, Hugo Weaving, Bae Doona, Jim Sturgess, Hugh Grant – Genere: Fantascienza, colore, 164 minuti – Produzione: Germania, USA, 2012 – Distribuzione: Eagle Pictures – Data di uscita: 10 Gennaio 2013.

cloud-atlas“Cloud Atlas” è un film scritto e girato a sei mani, dai fratelli Wachowski e Tom Tykwer (“Profumo: Storia di un assassino”), che portano sul grande schermo l’omonimo romanzo dello scrittore inglese David Mitchell, edito in Italia da Frassinelli, con un budget che supera i cento milioni di dollari, rendendolo il film più costoso mai prodotto in Germania.

E’ stata Natalie Portman a prestare a Lana Wachowski una copia del romanzo di David Mitchell, sul set di “V per Vendetta”, e i fratelli ne sono rimasti subito affascinati, tanto da acquistare immediatamente i diritti per la trasposizione cinematografica. Il ruolo di Sonmi-451, interpretato da Bae Doona, era stato pensato proprio per la Portman, che ha dovuto rinunciarci a causa della sua gravidanza.

La pellicola ha una trama complessa, articolata in più storie che si svolgono su diverse linee temporali, che spaziano dal 1836 ad un immaginario 2321, in un intrecciarsi di personaggi e vicende che inizialmente sembrano avere poco in comune, ma pian piano mostrano un unico comune denominatore,: la brama di potere che porta alla riduzione in servitù di tanti e alla completa mancanza di rispetto per il pianeta in cui viviamo, senza mai trascurare l’intolleranza, presente in ogni epoca, nei confronti di coloro che sono considerati ‘diversi’.

“Cloud Atlas” porta in scena la vita, il ripetersi perenne nell’umana storia degli stessi errori, l’incapacità di imparare dai propri sbagli, l’inevitabile propendere verso l’autodistruzione, in un turbinio di emozioni e immagini che mostrano l’intero ventaglio dei sentimenti umani, dalla codardia al coraggio, dal disprezzo dell’altro all’amore sconfinato, dalla paura alla fiducia, dalla flemma alla determinazione, dall’apatia all’adoperarsi per il cambiamento.

E tutto questo con un grande omaggio al cinema, che passa dal film in costume alla fantascienza, dalla spy-story anni settanta alla commedia, dal fantasy al film sentimentale, con un cast d’eccellenza, che si presta a diversi ruoli, che mostrano quasi l’evolversi di un ceppo genetico, riconoscibile magari da un segno sulla pelle.

In alcuni momenti sembra di tornare indietro nel tempo, alle prime pellicole americane che hanno avuto il coraggio di mostrare le nefandezze della schiavitù, in altre si respira l’aria e la tensione di “Blade Runner”; Somni-451 (il numero è un omaggio a ‘Fahrenheit 451’, il romanzo di fantascienza di Ray Bradbury) non è molto diversa dai replicanti di Scott, e di sicuro e la stessa brama di potere e di sopraffazione dell’altro che guida i governanti: la conservazione del ‘sistema’ viene attuata a caro prezzo; la ‘saponificazione’ poi riporta alla memoria la dolorosa storia recente, col nazismo e la sua barbarie.

A spezzare i momenti di tensione c’è ‘L’orribile impiccio del Signor Cavendish’, che narra di un anziano editore (cui presta il volto il britannico Premio Oscar Jim Broadbent), che dovrà riconquistare, con l’aiuto di alcuni baldi vecchietti, una libertà che dava per scontata fino a quando non gli è venuta a mancare, perfetta parabola del genere umano, che non apprezza ciò che ha, compreso l’ambiente in cui vive, finché non lo perde.

Tecnicamente il film è ineccepibile, l’unico scoglio per il pubblico in sala può essere dato dalla lunghezza, che seppur necessaria per dipanare un tale groviglio di vicende, confonde e mette a dura prova la pazienza dello spettatore per tutta la prima parte, circa 45 minuti, in cui è difficile seguire lo schema narrativo (se vi ha stressato “Memento”, sappiate che la complessità di “Cloud Atlas” ve lo farà rimpiangere). Ma se non abbandonate l’impresa, pian piano ogni tassello troverà la sua giusta collocazione, la mente sistemerà quei pezzi d’immagine che sembravano appartenere a puzzle diversi, e tutto apparirà chiaro, persino semplice.

Il ritmo diventa via via più sostenuto, man mano che le diverse storie evolvono, lasciando presagire sconfitta o speranza, il tutto avvolto da una profonda spiritualità, che pervade il racconto, come piace ai creatori di “Matrix”, che nei loro lavori affrontano sempre il tema della morte come un ‘passaggio’, attraverso il quale la vita si modifica, ma non cessa di pulsare.

Buon viaggio a tutti gli spettatori che si lasceranno avvolgere da questo film affascinante che stordisce e ammalia, e non permette, neppure per un attimo, di staccare il cervello.

Maria Grazia Bosu

Articoli correlati

Condividi