Eco Del Cinema

Chiamata senza risposta – Recensione

Un horror pieno di stereotipi che perde l’occasione di riallacciarsi al filone inaugurato da “The Call” di Takeshi Miike

(One Missed Call) Regia: Eric Valette – Cast: Shannyn Sossamon, Edward Burns, Ana Claudia Talancon, Ray Wise, Azura Skye – Genere: Horror, colore, 86 minuti – Produzione: USA, 2008 – Distribuzione: Warner Bros – Data di uscita: 6 giugno 2008.

Una nenia infachiamatasenzarispostantile squilla dal cellulare e annuncia un messaggio registrato che prevede con assoluta precisione cronologica la morte di chi lo riceve. Cominciano ad indagare su questo fenomeno il giovane poliziotto Jack Andrews (Ed Burns), la cui sorella è morta in una maniera apparentemente inspiegabile, insieme alla studentessa di psicologia Beth Raymond (Shannyn Sossamon), che cela anch’essa un traumatico passato. Emergeranno storie di abusi familiari e fantasmi di bambini tutt’altro che ben disposti.

Un giovane promettente regista francese che gira negli Stati Uniti il remake di un film giapponese. Si pensava che da un tale mix sarebbe potuto uscire un film quantomeno interessante nel suo incrocio di culture. In realtà “Chiamata senza risposta” di Eric Valette (già autore del pluripremiato “Malefique”) è semplicemente un film insipido e sconclusionato. Rispetto all’originale di Takeshi Miike (“The Call”), manca infatti del tutto la morbosa bizzarria del prolifico regista di Osaka, in grado di fondere con credibile spavento la tradizione spiritistica orientale con la tecnologia entrata da tempo nell’uso quotidiano (tematica questa già affrontata tra l’altro in pellicole a mandorla quali “Ringu” e “Phone”, tanto per citarne un paio).

Eppure Valette ce la mette tutta infarcendo il film di tutti gli espedienti orrorifici possibili: cigolii e rumori improvvisi che squarciano senza preavviso luoghi silenziosi, millepiedi d’ogni taglia che infestano stanze putride, bambine di baviana memoria con lo sguardo perso nel vuoto, pupazzi animati con maschere inquietanti, cadaveri divorati dai vermi, morti spettacolari alla “Final Destination”, facce e ombre che si materializzano all’improvviso per poi sparire un istante dopo, addirittura un tentativo di esorcismo da parte di un improbabile predicatore tv.

 Questa accozzaglia di tòpoi però non convince mai e soprattutto non riesce a impressionare, nonostante un uso esasperato e inutilmente fracassone della CGI che fa sembrare alcune scene il quadro di un videogames horror.

Colonna sonora elettronica di maniera, in cui spicca l’assurda “Mystera del Tempo”, un pezzo simil newage scritto da tale Carlo Asciutti e cantata in italiano con una voce impostata che ci regala, a commento di una delle scene topiche del film, le seguenti liriche: “Il mistero del tempo…Socrate e Platone…nei meandri galattici…spazi siderali..trasporto del cuore che traccia il destino…un’antica emozione…il potere del sesso…l’ignoranza è dolore…”. Vedere per credere.

Vassili Casula

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