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Chiamami col tuo nome: il film di Luca Guadagnino presentato in conferenza stampa

Luca Guadagnino, regista di “Chiamami col tuo nome”, incontra la stampa a Roma cogli attori Timothée Chalamet e Armie Hammer e il montatore Walter Fasano.

Chiamami col tuo nome: il film di Luca Guadagnino presentato in conferenza stampa

Chiamami col tuo nome scena

Alla vigilia della distribuzione nelle sale italiane, a Roma viene presentato alla stampa “Chiamami col tuo nome “. Il film ha ricevuto quattro candidature agli Oscar per  Miglior film, Miglior attore protagonista a Timothée Chalamet, Migliore sceneggiatura non originale e per la Miglior canzone “Mistery of Love” di Sufjan Stevens.

La conferenza inizia naturalmente con sessione fotografica “en plein air”, nei bei giardini dell’Hotel de Russie; il regista e gli  attori sono apparsi notevolmente stilosi seppur con look diversi. Per l’incontro con la stampa si sottopongono a cambio d’abito. Tutti ancora molto trendy tranne Armie Hammer che opta per una super yenkee tuta da ginnastica.

Chiamami col tuo nome: la rappresentazione del cambiamento

La prime domande sono per il regista che ha risposto con qualche reticenza che il film ha già ricevuto 150 nomination nei vari festival mondiali e ben 50 premi. Ha voluto immediatamente precisare di cosa si tratta questa pellicola: è innanzitutto un film sulla famiglia. Ha, a tal proposito, citato il “canone disneyano” e la serie “Toy Story”. Secondo Guadagnino, la famiglia nei film Disney rappresenta un forte modello di luogo in cui ci si migliora vicendevolmente, ci si ama e ci si accetta. Ha anche definito “Chiamami col tuo nome” una narrazione sull’aurora di una persona che diviene un’altra persona. Nel film viene citato Eraclito e la sua metafora del fiume. Tutto muta. La spinta al cambiamento è il desiderio, che per Guadagnino non ha genere, intendendo con questa affermazione che bisogna andare oltre le discriminazioni. Ha affermato anche che il suo non è una “pellicola gay”, ma è un film sull’amore.

Successivamente, in merito alla grande apertura mentale dei genitori del protagonista nei primi anni Ottanta, ha sostenuto che l’utopia è la pratica del possibile. Ha, poi, aggiunto che una certa elevatura morale riguardo ai vari orientamenti sessuali aveva avuto una genesi già nel ‘68, per poi continuare il suo cammino negli anni 70 fino a  dare la possibilità di esistere a famiglie come quella della pellicola. Descrivere questo aspetto è stato uno dei motivi principali per cui ha deciso di dirigere l’opera. Quando gli si è chiesto come si giunge a un risultato come quello ottenuto con questa creazione, ha risposto che tende a intraprendere il suo lavoro con un percorso pacato e di passione. Tecnicamente vive la regia come un quadro vivente, dimenticandosi a volte la sceneggiatura, costruendo la storia coi suoi attori sul set. In un clima immaginario destrutturista alla ricerca di un’armonia delle dissonanze, avendo il privilegio di fare i film che desidera con gli attori che vuole utilizzare. Ha precisato che un attore che precede il regista non gli interessa.

Di ricevere quattro candidature agli Oscar non aveva pensato, poi riflettendo ha raccontato che quando aveva vent’anni  e costeggiava il vaticano a bordo del bus 64, riferiva a una sua amica: “Sicuramente non sarò mai papa, ma potrò avere una nomination agli Oscar”.

Chiamami col tuo nome: l’apertura del cuore

Timothée Chalamet ha esordito con una battuta nella quale ha affermato di recitare solo in film Disneyani. Successivamente ha riferito di quanto sia stato lusingato di ricevere una proposta da Guadagnino, perchè pochi attori alla sua età hanno la possibilità di lavorare diretti da un talento come il suo e con un ruolo così importante, considerando che già conosceva il testo di Aciman avendolo letto cinque anni prima. Il suo approccio è stato quello di rendere giustizia al personaggio e alla storia cercando di non essere vulnerabile. Ha riferito che, riprendendo il romanzo di André Aciman, si accorse che aveva sottolineato il discorso che il padre di Elio rivolge al figlio verso l’epilogo della storia. Si tratta di un bellissimo insegnamento sull’amore, magistralmente recitato da Michael Stuhlbarg, in cui si inneggia all’apertura del cuore, all’istinto così come al coraggio per lasciarsi trasportare da quell’esperienza magica che tutti dovrebbero sperimentare senza paura, anche se si intravedono possibilità di sofferenza. Il dolore se verrà farà parte della gioco e non andrà elaborato in nessuna maniera alternativa, ma solo vissuto.

Chalamet ha affermato di non aver vissuto mai una storia passionale come quella del protagonista del film e che questo lo fa un po’ sorridere. Ha ribadito che una storia d’amore autentica non va rinchiusa stigmatizzandola in rigidi confini: l’amore può essere eterosessuale, omosessuale o verso una pesca, riferendosi ridendo a una scena del film in cui pratica autoerotismo con quel frutto.

Riguardo alla candidatura agli Oscar ha affermato che gli sembra di vivere un sogno, che si sente pieno di gratitudine. Avendo studiato cinque anni arte drammatica e avendo visto quanti suoi colleghi soffrano nei loro percorsi in cui alternano provini a delusioni per la mancata scrittura, ha detto che questo riconoscimento è incoraggiante e rassicurante ed ora non solo ha il diritto ma anche il dovere di goderselo.

Chiamami col tuo nome: un grande lavoro di squadra

Il coprotagonista Armie Hammer ha esordito ridendo e dicendo che proprio non sente di aver sostenuto un ruolo disneyano. Condivide, inoltre, le affermazioni di Chalamet sui sentimenti e sull’amore. Ha, poi, elogiato il lavoro di Guadagnino e di quanto sia facile collaborare con lui, affermando che il regista è dotato di grande capacità di equilibrio e che spesso si limita a posizionare un’unica cinepresa sulla scena nella quale gli attori sono liberi di muoversi. Se qualcosa esula dalla sua  ideazione con un tocco leggero interviene sull’attore chiedendogli : “Dove sei? Dove ti trovi con la tua testa?”.

Grande lavoro di squadra, grande intimità tra cast e regista, tutti d’accordo fino all’esasperazione soprattutto nell’affermare che un film che narra la storia di un amore tra due uomini non è un film gay.

 

Marco Marchetti

 

 

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