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Che fine ha fatto Osama Bin Laden? – Recensione

Un documentario delicato e a tratti ironico che sottolinea il bisogno dell’uomo di proiettare i propri demoni sull’altro da sé, sul diverso

(Where in the World Is Osama Bin Laden?) Regia: Morgan Spurlock – Cast: Morgan Spurlock – Genere: Documentario, colore, 93 minuti – Produzione: USA, 2008 – Distribuzione: Fandango – Data di uscita: 9 luglio 2010.

“Che fine ha fatto che-fine-ha-fatto-osama-bin-ladenOsama Bin Laden?” Una domanda che nasce nel regista Morgan Spurlock come immediata “risposta” all’avvertita necessità di impegnarsi per far trovare al proprio figlio, in procinto di nascere, un “mondo migliore”, una condizione di tranquillità e benessere in cui poter quanto meno “immaginare” un futuro roseo.

Una domanda che spinge ad una ricerca, in apparenza “assurda e surreale”, ma che, a guardare oltre, racchiude in sé l’istintivo meccanismo di autodifesa proprio della natura umana. Quel meccanismo che porta a proiettare sull’altro, sul “diverso da noi”, le colpe dei problemi e dei guai, così da avere un nemico contro cui combattere e liberarsi delle proprie responsabilità. E dunque il viaggio che il regista intraprende tra Egitto, Marocco, Palestina, Afganistan e Pakistan, al di là della sua “missione impossibile”, rivela un obiettivo molto più sottile.Lo scoprire come Osama Bin Laden, o meglio il mondo che egli rappresenta per i nostri occhi occidentali, non sia un “altro ostile” da “eliminare” per costruire la pace, ed il comprendere come l’unica via d’uscita consista nel sanare le condizioni che determinano lo stato di reciproco odio.

Questa “caccia al nemico”, preceduta da sconvolgenti corsi di autodifesa e sopravvivenza, si trasforma così in un viaggio di scoperta di quel tanto demonizzato mondo mediorientale e di conoscenza delle persone comuni che lo popolano. È a questi interlocutori che Spurlock rivolge le sue domande, constatando come l’immagine del talebano, fanatico religioso ed imbevuto di odio verso l’Occidente, non rispecchi la maggioranza della gente araba. Sono le stesse preoccupazioni e paure che spingono noi a vedere in Bin Laden il mostro cui tagliare la testa, che agitano i loro cuori: il bisogno di sicurezza e stabilità, la necessità di protezione.

Forse per alcuni non si tratta di scoperte “strabilianti” (è ovvio siamo tutti uomini…); se tuttavia il vedere Spurlock conversare, di fronte ad un piatto di pesce fritto, con una famiglia afgana tra le mura d’una baracca, suscita un inaspettato senso di “meraviglia”, magari sarebbe meglio non dare troppo le cose per scontate. Ed è forse proprio questo modo di affrontare l’argomento con una curiosità mista a delicatezza, con un’ironia temperata da rispetto, che permette al regista di “muovere critiche” senza offendere.

È l’aspetto “umano” al centro del documentario, non l’analisi delle questioni economico-politiche (petrolio, armi, democrazia…) che si nascondono dietro le rispettive guerre di religioni e lotte al terrorismo. Un senso di “umanità” avvertito con estrema sensibilità, probabilmente grazie all’esperienza personalmente vissuta del “diventare padre”.

E non manca la carica ironica e la vena satirica a cui Spurlock ci ha abituati: dal videogame in cui il suo avatar dotato di “super-baffi” ingaggia uno scontro all’ultimo sangue con l’invincibile Osama, alle immagini caricaturali dei “mascalzoni” con cui il governo americano è “dovuto” scendere a patti. Il risultato è un documentario da cui non ci si devono aspettare inchieste su affari di stato, rivelazioni di trame politiche o d’accordi economici, ma che sa colpire perché riporta l’esperienza, ovviamente “parziale”, di viaggio-conoscenza-scoperta del “mondo degli uomini”, occidentali o orientali che siano.

Francesca Rinaldi

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