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Big Eyes – Recensione

Una storia epica sulla più grande frode artistica della storia

Regia di Tim Burton – Cast: Christoph Waltz, Amy Adams, Krysten Ritter, Jason Schwartzman, Danny Huston, Terence Stamp, Stephanie Bennett, Heather Doerksen, Andrew Airlie, Jon Polito, Elisabetta Fantone, Emily Fonda, James Saito, Vanessa Ross, Steven Wiig, Jill Morrison, Emily Bruhn – Genere: Biografico, colore, 106 minuti – Produzione: USA, 2014 – Distribuzione: Lucky Red – Data di uscita: 1 gennaio 2015.

big-eyes-loc“Big Eyes” racconta la storia, incredibile ma vera, di Walter Keane (Christoph Waltz), forse non un grande artista ma certamente un abilissimo imprenditore, che durante gli anni 60 rivoluzionò l’austero mondo dell’arte, fino ad allora accessibile a pochi e facoltosi edotti, realizzando una vera e propria commercializzazione di massa del lavoro artistico. Riuscì infatti a produrre e vendere un numero enorme di ritratti di bambini tristi dai grandi occhi misteriosi, attraverso non solo quadri su tela, ma anche per mezzo di stampe e cartoline che quei soggetti raffiguravano. Traghettò l’arte dalle gallerie ai supermercati, rendendola un prodotto accessibile a tutte le tasche.

Al di là di questo fenomeno già di per sé interessante e meritorio, al tal punto da esser raccontato su pellicola, ancora più stupefacente è il segreto che si cela dietro: quei quadri stilizzati ed immediati, che avevano catturato il grande pubblico, non erano figli del suo talento ma di quello di sua moglie Margaret.

Una magnifica innovazione nata da una delle più leggendarie frodi artistiche della storia!

Il film di Tim Burton, oltre a descrivere perfettamente questo ‘furto’, narra la storia di uno straordinario personaggio femminile, incarnante lo spirito del nascente movimento femminista. Margaret Kaine, magistralmente interpretata da Amy Adams che ne sa cogliere con una recitazione minimalista l’evoluzione e le sfumature psicologiche, appare all’inizio come una donna insicura e dipendente dalla protezione del marito che nel tempo trova il modo e i mezzi per emergere da una vita vissuta dietro le quinte, riuscendo infine a riscattare se stessa e la propria creatività. Attraverso un’azione legale si farà restituire la maternità delle opere che Keane si era per anni attribuito.

Infine la storia riporta alla ribalta la più dibattuta e controversa riflessione sul senso dell’arte: e cioè cosa debba essere definita tale, se quella legittimata dal giudizio dei critici oppure quella che riesce a suscitare un’emozione nello spettatore.

Burton, sembra schierarsi a favore degli esponenti della “outsider art”, alla cui folta schiera si pregia di appartenere come apprezzato artista visuale. D’altronde aveva già affrontato il tema in un precedente lungometraggio “Ed Wood”, in cui aveva raccontato con amore e rispetto la vita e le opere di quello che è stato per lungo tempo considerato il “peggior regista” del mondo.

Danila Belfiore

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